Un lungo applauso ha accolto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al suo ingresso al Teatro Massimo di Palermo, dove si è aperto il 36esimo congresso Anm. In un momento in cui il governo vuole modificare la Costituzione per rivedere l’assetto ordinamentale della magistratura, le oltre 800 toghe accreditate avranno apprezzato le parole di due giorni fa del Capo dello Stato, secondo il quale occorre «evitare il rischio» che la Costituzione diventi «un albo di argomenti».

In platea anche la seconda carica dello Stato Ignazio La Russa, la cui presenza si può leggere come una conferma che nel partito della premier non si vogliono creare strappi con la magistratura. La stessa premier Giorgia Meloni ha delegato a intervenire alle assise Anm il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, che nei saluti istituzionali ha sottolineato come «per collocare l’interesse generale al di sopra di quelli particolari» vi sia «una sola e unica via: il dialogo: la giustizia non può e non deve essere terreno di scontro».

Tuttavia, Sisto ha rimarcato il fatto che il «cittadino ha il diritto di percepire il giudice come arbitro distinto dai contendenti»: un chiaro riferimento alla separazione delle carriere. Il numero due di via Arenula ha confermato che «il governo intende proporre in Costituzione l’inserimento dell’Avvocatura, libera e indipendente, come essenziale alla giurisdizione. Anche per respingere ogni tentativo di artificiale sopraffazione dello spirito critico che, da parte dell’interprete, rigorosamente umano, deve contraddistinguere la partecipazione al processo».
La platea delle toghe ha accompagnato con una lunga serie di applausi, e con una standing ovation finale, la relazione del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia: il quale ha ribadito ancora una volta la posizione contraria della magistratura alla riforma costituzionale. Al centro delle critiche, la questione dell’interpretazione della legge e dell’indipendenza del magistrato: «È assunto condiviso che l’interpretazione sia operazione intellettuale complessa, non riducibile a semplici sillogismi che facciano derivare la regola concreta da una norma astratta, che si vorrebbe chiara e facilmente leggibile, sì che il giudice possa essere un mero e asettico esecutore», ha detto Santalucia. Che ha sottolineato come si percepisca una ricorrente spinta alla «ridefinizione in senso restrittivo dei confini entro cui la giurisdizione può esprimersi». Nonostante questo «la nostra posizione è stata sempre ispirata dalla ricerca di un confronto e non dalla contrapposizione con la politica: non intendiamo rievocare fantasmi di un passato che non vogliamo torni a inquinare il discorso sulla giustizia».

Ma il congresso sarà anche il momento per chiedersi dove finisce la libertà interpretativa e di espressione del «cittadino magistrato» nella vita sociale. In merito Santalucia ha detto che «la soggezione» del giudice alla legge, a cui «nessuno intende sottrarsi», si invera «in un impegno interpretativo condotto» anche «saggiando della norma la conformità costituzionale e convenzionale». In altre parole: se una legge è scritta male o carente di tassatività, se non si inserisce coerentemente nel sistema o non è coerente coi principi costituzionali o sovranazionali, in tutti questi casi si amplia lo spazio interpretativo del giudice. Difficile non cogliere un rimando al caso della giudice Iolanda Apostolico.
Sulla libertà interpretativa del magistrato, il presidente Anm ha concluso: «Si deve convenire con chi ha osservato che, nel cono d’ombra della ostentata riservatezza e della proclamata neutralità, alligna a volte una faziosità che non si riscontra in chi non fa mistero delle proprie convinzioni, ma è professionalmente attrezzato per trascendere, nella decisione, le proprie opzioni di valore, in modo da realizzare il massimo dell’indipendenza, quella da se stesso».
In merito alle accuse di politicizzazione rivolte all’Anm quando interviene nel dibattito pubblico, il leader dei 10mila magistrati italiani ha specificato che «va sgombrato il campo» dall’idea secondo cui «i magistrati che intervengono nel pubblico dibattito su temi relativi alla giustizia siano politicizzati e quindi inaffidabili. Il termine politica, con i suoi derivati, non può divenire un dispositivo di espulsione dalla sfera pubblica: una democrazia partecipativa non può che arricchirsi del contributo di una categoria che di giustizia e di giurisdizione può dire a ragion veduta».
E poi Santalucia è passato a parlare della separazione delle carriere, che il Consiglio dei ministri potrebbe licenziare a breve: «Si mette mano alla Costituzione mostrando di non aver compreso il senso di massima garanzia per i diritti dei cittadini assicurato dall’attuale impianto, con un pm appartenente al medesimo ordine del giudice e accomunato al giudice per formazione e cultura della funzione». E non bastano a rassicurare le toghe le dichiarazioni di chi in questi giorni quale «alfiere della separazione, assicura e rassicura sulla piena indipendenza del pubblico ministero di domani». Infine una domanda sull’intelligenza artificiale: «Può immaginarsi una giustizia digitale sostitutiva, si può aspirare a un giudice automatico, come è stato appellato, e per esso alla certezza del diritto senza ombra di parzialità?». La risposta che si dà Santalucia è che «come già acutamente osservato, il dialogo, anche quello processuale, non è trattabile sulla base di meccanismi computazionali», perché «si svolge nella formazione del senso, aperta alla molteplicità dei contributi dei dialoganti».
Alla relazione di Santalucia ha fatto seguito la tavola rotonda con i leader di tutti i gruppi associativi: Loredana Miccichè (Mi), Maria Rosaria Savaglio (Unicost), Andrea Reale (Articolo 101), Stefano Musolino (Md) e Giovanni Zaccaro (Area). Proprio quest’ultimo ha dichiarato, a proposito delle polemiche rivolte alla magistratura per l’inchiesta su Toti, che «a furia di dire che i magistrati devono apparire imparziali, ci dimentichiamo della tutela della imparzialità sostanziale: le continue polemiche, la delegittimazione quotidiana mirano a intimidire i magistrati, ad avere una magistratura che non osi toccare i potenti. Ormai il dibattito sulla giustizia è come il processo del lunedì: politici e giornalisti sono garantisti o forcaioli a seconda che gli indagati siamo loro amici o loro avversari. Ho letto il tweet di Crosetto: un ministro non può delegittimare così un altro potere dello Stato. Entrambi giuriamo sulla Costituzione e dovremmo tutelarla e attuarla insieme».
Stamattina interverranno il ministro della Giustizia Carlo Nordio, Elly Schlein, Enrico Costa, e Matteo Renzi: «Credo nel confronto civile e nell’importanza del dibattito pubblico – ha detto il leader di Italia viva -, ho dunque deciso di accettare l’invito dell’Anm e sarò a Palermo al congresso. A viso aperto, come sempre».