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«I tempi nella giustizia sono fondamentali. Sia nel corso del processo che nell'esecuzione della sentenza. Il 13 maggio 2016 si è chiuso in Cassazione il processo Thyssen. Tutti condannati gli imputati. Solo gli italiani però varcano la soglia del carcere il mattino successivo alla sentenza. I tedeschi continuano a fare quello che facevano prima, come nulla fosse; più forti della giustizia e dello Stato in cui sembrava giustizia si fosse compiuta. Passano i governi, passano i ministri della Giustizia, passano le parole di circostanza. Quello che non passa sono rabbia e dolore per una ferita che non si rimarginerà mai ma che potrebbe fare un po’ meno male se tutti gli imputati, tedeschi compresi, scontassero la loro pena» ma «ora dopo 5726 giorni il signor Harald Hesphenhann dopo tanto correre, scappare dalla giustizia ha varcato la soglia del carcere. Non è un risarcimento, non è vendetta e solamente l'unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato». Ha scritto così sul suo profilo Facebook, Antonio Boccuzzi, operaio della Thyssenkrupp di Torino che nel 2007 scampò all'incendio che uccise suoi sette colleghi (Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi).
Boccuzzi, ex deputato del Pd, ha commentato la notizia, riportata sui quotidiani tedeschi, dell'entrata in carcere del manager tedesco della Thyssenkrupp, Harald Hesphenhann, che proprio pochi giorni fa ha cominciato a scontare la condanna.
Ricordiamo la vicenda: nella notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007 un getto d’olio bollente in pressione utilizzato per temperare i laminati investì gli operai del turno di notte, causando un incendio difficile da domare per le condizioni fatiscenti in cui versava la fabbrica: nonostante il tempestivo intervento dei vigili del fuoco e del personale sanitario, poco dopo morì il primo operaio, seguito nei giorni successivi da sei colleghi.
Antonio Boccuzzi, sindacalista Uilm, riportò ustioni di secondo grado al volto ed alla mano destra. Dalle indagini effettuate dalla Procura della Repubblica e dall’Asl emerse che, molto probabilmente a causa dell’imminente chiusura della fabbrica, gli impianti non rispettavano le condizioni di sicurezza. La vicenda giudiziaria durò molto. I parenti del rogo firmarono un'intesa con il Gruppo tedesco per il risarcimento. La cifra fu di poco inferiore ai due milioni di euro a famiglia a seconda della composizione per un totale di 12 milioni e 970 mila euro. In cambio del risarcimento, non si costituirono parte civile. Il processo a carico dei vertici dell’azienda prese l’avvio nel 2009 e si concluse nel 2016 quando la Cassazione confermò le pene comminate in appello per omicidio colposo a 9 anni ed 8 mesi per Herald Espenhahn, amministratore delegato; a 7 anni e 6 mesi per Daniele Moroni, manager; a 7 anni e 2 mesi per Raffaele Salerno, manager; a 6 anni ed 8 mesi per Cosimo Cafueri, manager; a 6 anni e 3 mesi per Marco Pucci e Gerald Priegnitz, manager.
Mentre per gli italiani le porte del carcere si aprirono subito, non fu lo stesso per i tedeschi. Nel luglio 2020 Gerald Priegnitz era andato in carcere, non prima però di aver ottenuto la semilibertà, che gli ha consentito di continuare a lavorare per la multinazionale e di andare solo a dormire in cella la sera. Secondo quanto riferito dall’emittente tedesca Wdr, da novembre 2022 Priegnitz è stato scarcerato per buona condotta ed è libero. Mentre Hesphenhann, attraverso altri ricorsi, ha ritardato l’incarcerazione che invece sarebbe adesso iniziata il 10 agosto. Tuttavia in Germania il codice prevede che la pena per l’omicidio colposo non possa superare i cinque anni di detenzione. «Certo, quei 5 anni saranno ulteriormente ridimensionati, lo sappiamo e non ci facciamo strane o vane illusioni, ma un passo è stato compiuto e questo non ce lo porta via nessuno», ha scritto ancora Boccuzzi.