Sulla riforma della giustizia la tensione aumenta e si intensifica il dibattito dentro e fuori il Parlamento. «Da quando sono ministro sono stato abituato agli improperi più sciagurati, ora c’è anche l’attentato alla Costituzione». A dirlo ieri mattina è stato il guardasigilli Carlo Nordio, al Salone della Giustizia, nel corso del faccia a faccia con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Per il ministro si tratta di una «affermazione quasi schizofrenica perché la Costituzione ha in sé il suo rimedio: prevede essa stessa di essere modificata con un procedimento molto lungo. Quello che mi amareggia», ha aggiunto il ministro, «è che qualche volta queste accuse vengano da magistrati: la giustizia non può essere strumentalizzata o addirittura prostituita per ragioni politiche».

Poi Nordio si è espresso sul cuore della riforma, quello che le toghe definiscono il “lancio dei dadi” per il Csm: «Il sorteggio fa parte della nostra tradizione giuridica» e comunque, nel caso della riforma delle carriere separate, «non avviene tra i passanti di strada: avviene nell’ambito di un canestro in cui per definizione tutte le persone sono preparate, intelligenti e oneste, altrimenti non starebbero dove sono». Fino alla critica più sferzante, rivolta al Comitato per il ‘No’ dell’Anm, definito «ai margini della costituzionalità».

A rincarare la dose anche il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto: «Sono convinto che i Comitati per il No siano un gesto che ha natura politica, non consona a un corretto modo di intendere il referendum». Poco dopo è il presidente dell’Anm Cesare Parodi a intervenire prima su RaiRadio 1 a “Un giorno da Pecora” e quindi sempre al Salone della Giustizia: battute a parte («Nordio brinda con vermentino se vince sì? Io se vince il No brindo con rosè di Mombaruzzo», e «Meloni? Il frutto mi piace molto, sia con il prosciutto sia come frutto») il vertice del ‘sindacato’ delle toghe ha cercato di riportare i toni su una direzione meno conflittuale: «Dispiace molto il clima che si è creato attorno alla magistratura, sarebbe bello, interessante, poterne parlare ognuno portando i propri argomenti. Invece leggo di continue preoccupazioni del tipo “Voi volete fare politica, volete fare il Comitato”. Se fosse vero, io sarei da un’altra parte. Vorrei poter discutere tranquillamente, poi i cittadini decideranno con il referendum».

Fino all’annuncio: «Se dovessimo perdere il referendum sulla riforma, magari male, per colpa mia, dovrei pormi delle domande, dovrei dimettermi». Parodi ha così replicato a Nordio: «Il nostro Comitato, proprio perché è soltanto nostro, è totalmente svincolato, formalmente e principalmente, dall’attività dei partiti. Volevamo essere autonomi, dimostrarlo in maniera tangibile, costituendo un soggetto nostro, destinato a svanire con l’esito del referendum e totalmente non collegato con forze politiche».

Quanto all’appello a evitare che il dibattito sul referendum degeneri, Parodi ha sottolineato: «Io spero che questo possa accadere perché tutti i giorni vedo determinati giornali, ma anche reti televisive, che vogliono alzare i toni, vogliono portare le forze in campo allo scontro. Questo non è un buon servizio per il Paese».

Nel frattempo, nel pomeriggio iniziava nell’Aula del Senato la discussione sulla riforma costituzionale. Il dibattito generale proseguirà fino a stamattina. Mentre dalle 10.30 di domani sono previste le dichiarazioni di voto e il voto finale, atteso per le 12 sempre giovedì. Lo ha spiegato, al termine della conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, che ha commentato il risultato come «tappa storica».

La maggioranza sarebbe orientata a festeggiare il traguardo parlamentare con un flash-mob. È dunque possibile che dopo il voto si stappino bottiglie nei pressi di Palaszzo Madama. Subito dopo partirà la macchina organizzativa in vista del referendum, che dovrebbe tenersi tra marzo e aprile 2026. Ieri, a intervenire nell’emiciclo del Senato, sono stati 57 parlamentari in tutto, in gran parte dell’opposizione. Solo tre erano della maggioranza, e in particolare di Fratelli d’Italia: De Priamo, Pera e Rastrelli.

Secondo Ilaria Cucchi di Avs, «il disegno è chiaro: il governo Meloni vuole una giustizia più debole e meno libera. Vuole controllare i giudici, tenerli vicini al potere e lontani dai cittadini. Il nostro sistema già distingue tra giudici e pubblici ministeri. Perché allora cambiare la Costituzione? Perché rompere l’unità della magistratura, che è garanzia di indipendenza?».

Con la separazione delle carriere, «si profila un Armageddon per il quale chi è a favore di questa riforma vuole attuare un golpe antidemocratico», ha detto invece, intervenendo in Aula, il leader e senatore di Azione Carlo Calenda. E hanno sorpreso le parole del presidente del Senato Ignazio La Russa: «Io personalmente sono stato tra gli artefici della separazione delle funzioni, che non separava le carriere ma rendeva, come è tutt’ora, difficile il passaggio da una carriera all’altra, per cui è giusta la separazione delle carriere ma forse il gioco non valeva la candela. Mentre invece l’aspetto dei due Csm è un tentativo, vediamo se riesce, di ridurre il peso delle correnti. Non so se riesce».

Concetto comunque che aveva già espresso qualche settimana fa al congresso dell’Unione Camere penali e che aveva deluso infatti la platea degli avvocati. Certo è che in campo scendono sempre di più i big di partito, essendo la partita fondamentale anche in vista delle Politiche 2027. «Noi faremo una campagna per spiegare ai cittadini che la riforma è pericolosa» perché corrisponde al “disegno di Licio Gelli”, ha detto il leader del M5S Giuseppe Conte. Mentre la segretaria dem Elly Schlein ha sottolineato: «Se un cittadino pensa che anche chi governa deve, come tutti, rispettare le leggi e la Costituzione, allora voterà no a questa riforma: di questo stiamo parlando».