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COMITATO DIRETTIVO CENTRALE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI ANM
«Non vogliamo trovarci mica a fare un banchetto accanto a quelli del Partito democratico». All’interno dell’Associazione nazionale magistrati si è aperto informalmente il dibattito sulle prossime iniziative da intraprendere in vista del referendum costituzionale sulla separazione delle carriere. E le posizioni dei gruppi associativi, per il momento, non sembrano allineate. Si dividono, come in passato su altre questioni, tra interventisti e moderati.
La domanda che si pongono ora è la seguente: è opportuno e proficuo promuovere una raccolta firme attraverso il neonato comitato “A difesa della Costituzione e per il No al referendum”? Com’è noto, esso è nato in seno al “parlamentino” dell’Anm, ma sarà aperto a esponenti della società civile per spiegare le ragioni della contrarietà alla riforma targata Carlo Nordio.
Tuttavia non è stata ancora ben definita una road map, tanto è vero che solo entro due mesi si conoscerà, ad esempio, il nome del presidente onorario. Quindi al momento, ufficialmente, non si sa ancora se il comitato sarà impegnato nel raggiungimento del mezzo milione di firme di cittadini italiani necessario per chiedere di indire il referendum. È ovvio che la consultazione si farà, perché saranno i partiti a richiederlo nella modalità previste dalla legge (un quinto dei membri di una Camera o cinque Consigli regionali o, appunto, mezzo milione di elettori), ma la decisione che l’Anm prenderà nei prossimi mesi assumerà un alto valore simbolico.
Quello che sappiamo al momento è che il presidente del Comitato Antonio Diella, la vicepresidente vicaria Marinella Graziano, il vicepresidente e segretario Gerardo Giuliano e la tesoriera Giulia Locati non ne hanno ancora discusso. Appare chiaro, però, che ogni singola corrente ne sta dibattendo al proprio interno. E i posizionamenti non sono così ben definiti, anche se ci sarebbe una prevalenza di quelli che, per vari motivi, sembrano non vogliano intraprendere una simile iniziativa.
Intanto venerdì scorso era apparsa sul Corriere della Sera un’intervista a Stefano Celli, vicesegretario dell’Anm ed esponente di Magistratura democratica, che ha detto: «Promuoveremo una nostra raccolta firme, senza rinunciare al confronto pacato già avuto con tutti i gruppi parlamentari». In realtà Celli, interpellato dal Dubbio in proposito, chiarisce che, rispetto all’intervista al Corsera «la decisione non è stata ancora presa e si stanno facendo valutazioni». Non una marcia indietro, ma la consapevolezza che per dare per certa una scelta simile occorre un sostegno corale da parte di tutti, all’interno dell’Anm e del Comitato.
L’impegno sarebbe onerosissimo. Nel gruppo di Area convivono al momento visioni diverse. C’è chi ne fa, tra l’altro, una questione economica. La legge 157 del 1999 riconosce, infatti, il rimborso anche in favore delle richieste di referendum effettuate ai sensi dell’articolo 138 Costituzione, quello appunto di riforma della Carta. Il rimborso è uguale a quello disposto per i referendum abrogativi, ossia un euro per ogni firma valida raccolta. In questo caso, tuttavia, non essendo previsto alcun quorum partecipativo per la validità della consultazione referendaria, il rimborso è subordinato alla sola declaratoria di legittimità della richiesta referendaria da parte dell’Ufficio centrale della Cassazione.
Pertanto c’è chi si preoccupa che se «non si riusciranno a raccogliere le 500mila firme, perderemo migliaia e migliaia di euro, considerato pure che il tetto massimo di spesa per la campagna referendaria che abbiamo deciso di mettere a bilancio è di 500mila euro», ci spiegano. Poi c’è chi invece sostiene, sempre all’interno di Area, che al contrario bisognerebbe scendere in campo senza problemi: «Abbiamo iniziato un percorso in difesa della Costituzione, ci siamo schierati sul fronte del No, raccogliere le firme dei cittadini sarebbe in linea con il percorso già intrapreso. E se qualcuno ci accuserà di una sovraesposizione ricorderemo che l’aggettivo “politicizzato” non deve essere considerato in maniera negativa perché fare politica significa fare attività pubblica, parlare con i cittadini».
Di avviso diverso Unicost e Magistratura indipendente, che sono molto più fredde in merito a questa possibilità benché ancora debbano raggiungere una posizione ufficiale. Comunque, fonti di entrambi i gruppi ci dicono che «il nostro obiettivo è sempre stato quello di spiegare le ragioni tecniche come operatori della giustizia. Raccogliere le firme per strada non è il nostro mestiere». Mentre qualcun altro si spinge a dire: «Non vogliamo trovarci mica a fare un banchetto accanto a quelli del Partito democratico!». E i dem, sul punto, ancora non hanno deciso che fare.
Tuttavia, all’interno dell’Anm c’è invece qualcuno che ha le idee già chiare: «Se è vero che le firme possono adesso essere raccolte anche online, farci promotori in prima persona di una iniziativa di questo tipo acquisirebbe un valore simbolico importante. E sarebbe facile criticarci perché schiacciati sulle posizioni dei partiti. Figuriamoci se per puro caso ci trovassimo in una piazza con due stand, uno Anm e uno di un partito, a chiedere sottoscrizioni», ci spiega sempre il magistrato di una corrente moderata. Contrario anche Andrea Reale, del gruppo Art. Centouno: scendere nell’arena in questa maniera sarebbe sintomo «di un attivismo esasperato che non condividiamo affatto. Il nostro compito è solo quello di spiegare quello che non va nella riforma e anche quello che va, come il sorteggio per il Csm».
Insomma l’Anm è chiamata a prendere una decisione importante ma è in buona compagnia, in quanto anche i partiti al momento non hanno deciso come muoversi. Tutto sarà definito molto probabilmente solo dopo il quarto e ultimo voto al Senato che dovrebbe arrivare entro la fine di ottobre.