Ancora un colpo di scena nella telenovela chiamata Qatargate. Da un lato c’è la procura belga, che accusa Francesco Giorgi, ex braccio destro di Pier Antonio Panzeri, il super “pentito” dell’inchiesta, di aver generato con l’intelligenza artificiale l’audio nel quale Ceferino Alvarez Rodriguez, l’ispettore a capo dell’indagine, smonta la credibilità della stessa.

Dall’altro c’è lo stesso Alvarez, che non nega la veridicità dell’audio, ma prova comunque a zittire uno dei tanti giornali che lo hanno pubblicato, chiedendo a un giudice di far sparire tutto. Una richiesta sonoramente bocciata e bollata come incostituzionale, con l’effetto, paradossale, di rafforzare - con tanto di sentenza - la credibilità delle accuse mosse contro l’inchiesta.

A firmare la decisione è Manuela Cadelli, giudice facente funzione del Tribunale di prima istanza di Namur. Alvarez e il ministero dell’Interno avevano promosso un’azione legale contro il giornalista Pierre Nizet e il quotidiano Sudinfo, colpevoli, a loro dire, di averlo esposto alla gogna e di aver violato il segreto d’ufficio.

Una contestazione singolare, data la quantità di atti finiti sui giornali nel corso degli ultimi due anni. Alvarez ha chiesto al Tribunale di ordinare la cancellazione di tali articoli e di imporre, inoltre, una censura per il futuro con una pesante multa. Una richiesta palesemente in contrasto con la libertà di stampa, ma comunque sostenuta dallo Stato, per mano della ministra Annelies Verlinden, che ha affiancato Alvarez sostenendone la causa.

La giudice Cadelli non va per il sottile, sottolineando la «manifesta incostituzionalità della richiesta di censura preventiva», pretesa «radicalmente contraria a quanto prescritto dall’articolo 25 della Costituzione belga». «Solo l’uso abusivo della libertà di espressione e, come in questo caso, della libertà di informazione può essere represso - sottolinea la giudice -, vale a dire soggetto a valutazione ed eventuale sanzione da parte dei giudici della magistratura, ed esclusivamente a posteriori».

La richiesta di Alvarez è, dunque, «manifestamente infondata, addirittura incauta - afferma Cadelli -, in quanto visibilmente contraria alla Costituzione». Ma non solo: i ricorrenti avevano presentato la causa come «urgente», sostenendo di subire danni «incessanti e aggravati» a causa del mantenimento di alcune pubblicazioni e trasmissioni di Sudmedia e Pierre Nizet. Il ministero e Alvarez, infatti, avevano evidenziato che ogni giorno in più di permanenza di tali notizie online «aggrava ulteriormente l’attacco ai diritti di immagine e alla vita privata del signor Alvarez-Rodriguez, così come all’immagine della Fps che lo impiega». L’atto è stato notificato l’8 luglio 2024, ma «la Corte è costretta a prendere atto del fatto che hanno comunque accettato di sottoscrivere, il 17 luglio, un calendario di scambi di conclusioni sulla base dell’articolo 747 comma 1 del Codice giudiziario», continua con tono critico la giudice. «Dobbiamo quindi ammettere che le loro scelte procedurali sono in realtà all’origine del pericolo che essi affermano di correre ancora oggi, ammesso che sia dimostrato». Ma al di là di questo, «il video contestato e la registrazione della conversazione telefonica fortemente contestata sono stati diffusi rispettivamente il 23 novembre 2023 e il 29 marzo 2024», dunque molto tempo prima. Anche supponendo che in questo modo «venga loro inflitto un danno di una certa gravità, constatiamo tuttavia che molti media europei hanno riportato e continuano a diffondere le informazioni contestate, per cui è difficile anche solo intravedere l’interesse per l’attuale procedimento per quanto riguarda “l’audience” che questa vicenda sta conoscendo, anche nel suo aspetto disfunzionale che in sostanza mette in discussione l’ortodossia delle pratiche del ricorrente Alvarez-Rodriguez» . Il quale non avrebbe depositato alcuna prova idonea a dimostrare «il grave danno che dice di subire o di rischiare», menzionando solo un procedimento disciplinare del quale, però, non spiega il legame con la vicenda in questione. Anzi, stando al suo profilo LinkedIn, gli sarebbe anche stato recentemente conferito «un riconoscimento onorifico». Insomma, la richiesta «manca di plausibilità giuridica». Anche perché - e qui viene il bello - l’investigatore «non contesta la veridicità delle pubblicazioni che critica; non denuncia né dimostra un marcato eccesso nella loro forma che potrebbe rivelarsi viziato, eccesso che la Corte non percepisce del resto», e rientra «nella categoria dei personaggi pubblici che devono necessariamente tollerare una certa esposizione mediatica». Le informazioni desunte dal video, dagli articoli «e forse soprattutto dalla contestata registrazione - continua la giudice - contribuiscono indubbiamente a un dibattito di interesse generale suscettibile di interessare il pubblico, divenendo quindi quest’ultima registrazione ed il suo contenuto un oggetto di informazione legittima, di per sé. È infatti importante che i cittadini, i lettori e gli utenti di Internet siano consapevoli di alcune pratiche della polizia in questo tipo di casi particolarmente delicati. L’importanza e l’interesse delle informazioni controverse sono stati riconosciuti anche da alcuni media europei che le hanno riportate e che non possono quindi in alcun modo essere considerate attinenti alla vita privata del ricorrente». Nessuna colpa in capo al giornale e al giornalista, dunque. E l’ennesima mazzata al Qatargate e alla sua credibilità.