In materia di patrocinio a spese dello Stato, in particolare sul recupero forzoso dei versamenti dovuti per le copie degli atti di impugnazione, con il rischio di una compressione del diritto di difesa per i meno abbienti, interviene l’Unione della Camere penali italiane. L’iniziativa dei penalisti si affianca a quella dell’onorevole Devis Dori (Alternativa Verdi Sinistra), che qualche giorno fa ha presentato un’interrogazione scritta al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Il parlamentare ha chiesto al guardasigilli un chiarimento su un orientamento espresso da via Arenula lo scorso 4 aprile, che attribuisce alle cancellerie il potere-dovere di recuperare le somme relative alle copie degli atti di impugnazione.

Anche l’Ucpi sollecita il ministro Nordio a tal riguardo. «La nota del ministero della Giustizia (Dipartimento Affari di Giustizia) del 4 aprile scorso – si legge in un documento della Giunta, dell’Osservatorio Informatizzazione del processo penale e dell’Osservatorio patrocinio a spese dello Stato -, rappresenta l’occasione per qualche riflessione in tema di diritti di copia, di costi della giustizia e di processo penale telematico. Con la circolare citata si fornisce risposta, positiva, al quesito sollevato dagli uffici giudiziari, volto a comprendere se, in caso di impugnazione presentata a mezzo pec, il difensore debba fornire all’ufficio le copie cartacee, necessarie a soddisfare il disposto dell’articolo 164 Disp, att. c.p.p., anche nel caso in cui l’impugnazione venga presentata dal difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. In buona sostanza il ministero argomenta il proprio parere muovendo da inequivocabili premesse, la prima delle quali merita già una sottolineatura da parte di chi scrive: allo stato, permane la necessità di trasmettere al Giudice dell’impugnazione un fascicolo cartaceo. Allo stato».

Le Camere penali sottolineano una situazione paradossale: «La Corte d’Appello non è, allo stato, “obbligata” all’utilizzo del Portale dei depositi atti penali (Pdp), né come soggetto passivo, men che meno quale soggetto attivo; da ciò discende che in tale sede è possibile utilizzare il triplice binario: deposito telematico (su portale) oppure cartaceo ovvero a mezzo pec. Queste due ultime evenienze sono sostanzialmente equiparabili, quantomeno nell’applicazione dell’articolo 164 Disp. att. c.p.p., come già chiarito anche da precedente circolare DAG del 16 marzo 2023, che ha spiegato come l’ultrattività degli effetti di tale norma, formalmente abrogata, si estendano anche ai depositi delle impugnazioni effettuati a mezzo pec. Il faticoso rituale della consegna postuma delle copie alle cancellerie in caso di trasmissione a mezzo pec viene in qualche modo bilanciato dagli indubbi vantaggi che tale modalità offre, soprattutto per le impugnazioni fuori sede. Ma vantaggi ancora maggiori siamo certi vengano offerti dai depositi a mezzo portale, già effettuabili. Questi sono certamente depositi telematici che concorrono a formare il fascicolo informatico. Pare ragionevole pensare che allorquando tutte le parti saranno raggiunte dalla cogenza di tale modalità di deposito, potrà tramontare il fascicolo cartaceo, e dunque sarà definitivamente archiviato l’incombente dell’articolo 164 Disp. att. c.p.p., in ossequio al comma 6 dell’art. 87 del D.LGS. 150/2022, in uno con la sgradevolezza del disposto dell’art. 272 DPR 115/2002».

Le articolate argomentazioni dell’Ucpi tengono altresì conto dell’esigenza di non sacrificare il diritto di difesa. «Se – sostengono i penalisti - tutte le parti dovranno contribuire alla formazione del fascicolo informatico, coerenza imporrà l’assoluta gratuità nella visione ed estrazione di duplicati degli atti, a prescindere dalla capienza o incapienza economica, in un rapporto sinallagmatico che lega tutti i soggetti del “sistema processo”, fornendo piena attuazione all’articolo 111 della Costituzione, consentendo a tutti di potersi difendere compiutamente, senza corrispondere somme che - allo stato – appaiono ancora gravosi balzelli. Se, poi, nella Circolare in argomento è apprezzabile l’invito formulato agli Uffici Giudiziari a non intraprendere le procedure di recupero coatto dei diritti di copia per le impugnazioni depositate in modalità analogica o equivalente, ovvero a mezzo pec, se non previo invito all’adempimento spontaneo e nel solo caso di superamento del limite minimo legale per l’iscrizione a ruolo, meno convincente appare la lettura fornita del combinato disposto degli artt. 164 disp. att. c.p.p., 107 e 272 DPR 115/2002. Diversi sono gli argomenti che militano in favore della non debenza dei diritti di copia per le impugnazioni depositate con modalità analogiche o equivalenti dal difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato:

a) la circostanza che l’impugnazione ed il suo deposito, compreso quello delle copie, rappresentano uno dei momenti cruciali dell’esercizio della difesa;

b) l’ingresso nel fascicolo cartaceo dell’atto di impugnazione, ai sensi del comma 9 dell’art. 87-bis del D.LGS. 150/2022, ne consente all’evidenza la richiesta di copie in esenzione dal versamento dei diritti;

c) il difensore che dovesse anticipare i costi per le copie non potrebbe chiederne il rimborso all’assistito pena la commissione di un “grave illecito disciplinare professionale” (art. 85 TUSG).

La lettura coordinata e costituzionalmente orientata delle norme, pur nel loro evidente affastellamento, dovrebbe condurre alla soluzione secondo la quale il deposito delle copie delle impugnazioni è, allo stato, dovuto solo da chi utilizza modalità analogiche ovvero equivalenti, la posta elettronica certificata, salvo il caso dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato».