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Continua a montare sulla stampa lo scandalo che ha coinvolto Roberto Palumbo, primario del reparto di Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma, arrestato in flagranza e portato in carcere nei giorni scorsi mentre riceveva tremila euro dall’imprenditore Maurizio Terra. Per entrambi il gip ha disposto gli arresti domiciliari e, secondo l’accusa, il primario riceveva regolarmente mazzette, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.
Ma noi ci fermiamo qui. Non apriamo le virgolette per aggiungervi stralci del provvedimento del giudice perché esattamente il 10 dicembre 2024 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo riguardante la presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, che apportava delle modifiche al Codice di procedura penale. In particolare all’articolo 114 cpp dove si introduceva il divieto di pubblicazione, integrale o per estratto, del testo dell’ordinanza che dispone una misura cautelare.
Eppure in questi ultimi giorni, da quando è scoppiato il caso di un presunto sistema di corruzione in ambito sanitario, in particolare nella gestione dei pazienti in dialisi e assegnati alle cliniche private convenzionate con il Sistema sanitario nazionale ricadenti nella giurisdizione della Asl Rm/2, la stampa non sta facendo altro che pubblicare parti esatte dell’ordinanza cautelare. Al contrario, invece, la norma conferisce la possibilità per il giornalista di raccontare solo il contenuto dei provvedimenti, secondo però la sua sensibilità, senza poter riportare dunque virgolettati. Ma a chi importa se tutto questo serve a delineare giornalmente una nuova sfaccettatura del “mostro”? In questo caso di Roberto Palumbo e accoliti.
Lo ammettiamo: se davvero un processo dimostrerà la fondatezza delle accuse rivolte a Palumbo e agli altri undici indagati saremo davvero dinanzi ad una condotta esecrabile di chi ha voluto lucrare sulla malattia e sulla fragilità dei pazienti. Ma al di là di quello che sarà il verdetto che uscirà dall’Aula, adesso esiste una norma che palesemente non viene rispettata, così ledendo la presunzione di non colpevolezza degli indagati. «Al di là dei gravi reati contestati – ci ha detto il deputato di Forza Italia Enrico Costa -, il rispetto delle norme del codice di procedura penale deve valere sempre. E la pubblicazione testuale delle ordinanze non è consentita».
Come ci spiega pure l’avvocato Luca Andrea Brezigar, responsabile dell’Osservatorio Informazione Giudiziaria dell’Unione Camere penali italiane, «leggendo gli articoli pubblicati in questi giorni possiamo tranquillamente sostenere che ci troviamo in presenza di una violazione dell’articolo 114 del codice di procedura penale» per cui «è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare» (articola 114 cpp comma 6 ter). Brezigar ha seguito importanti processi: da Aemilia a quello di Bibbiano, passando per Mafia Capitale. «In edicola trovavamo dei veri e propri libri in cui erano pubblicate per intero le ordinanze di custodia cautelare. Da lì si rafforzò sempre di più la necessità di porre un rimedio. E insieme al deputato di Forza Italia Enrico Costa lavorammo per proporre delle soluzioni per bilanciare il sacrosanto diritto alla libertà di informare ed essere informati con quello della presunzione di innocenza. Negli anni abbiamo ottenuto dei risultati - sottolinea - ultimo in ordine di tempo proprio quello sul divieto di pubblicare le ordinanze. Ma poi apri i giornali e ti accorgi che la norma viene disattesa».
In più, ci dice ancora Brezigar, «rispetto al fatto di cronaca di questi giorni è ravvisabile anche la violazione del segreto istruttorio di I e II fascia, guardando a tutti i brogliacci delle intercettazioni che stanno uscendo. Chi ci dice che quelle captazioni andranno poi nel fascicolo nel dibattimento? E qualora vi arrivassero chi ci dice che un perito della difesa non vi darebbe un’altra interpretazione? Però intanto nella mente del lettore si cristallizza sempre di più la tesi colpevolista. Questo è quello che noi abbiamo voluto sempre scongiurare: un racconto appiattito sulla versione dell’accusa, non di certo mettere un bavaglio assoluto alla stampa». Che fare allora? «L’Autorità giudiziaria dovrebbe indagare su questo fenomeno non tanto per punire il giornalista quanto per consentire di arrivare nelle giuste sedi, quali la Cassazione, per fornire una interpretazione semantica univoca della norma».


