Domenica 30 novembre. Siamo a Bologna, nella Sala Borsa dell’Auditorium intitolato a Marco Biagi, il giuslavorista trucidato dalle Brigate Rosse. Sul palco prende la parola Fabio Repici, avvocato. È lui a coordinare i lavori del convegno dal titolo “Il diritto alla verità”, iniziato il giorno prima e promosso dal Movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino.

«Accanto a me, come vedete, c’è una sedia vuota», dice Repici travolto dall’imbarazzo. «Avrebbe dovuto occuparla, come relatrice, l’avvocata Ambra Giovene, professionista di altissimo livello. Ci saremmo arricchiti, nel confronto delle idee, anche del suo intervento. Ma persone che consideriamo fratelli, l’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, ci hanno detto che la presenza dell’avvocata Giovene non era gradita, perché la collega ha difeso, tra centinaia se non migliaia di persone, anche due condannati al processo per la strage del 2 agosto 1980. Io e Salvatore Borsellino abbiamo scelto di aderire alla richiesta pur consapevoli che si tratta di un errore. Siamo convinti che la condivisione degli errori è una via per migliorarsi».

Sono parole che lasciano increduli. Ma sono state pronunciate sul serio. Basta cliccare sul canale youtube di “Antimafia 2000”, il portale che ha ripreso la due giorni bolognese e che è legato alle Agende rosse di Borsellino. Il fratello del giudice massacrato a via D’Amelio è da anni orientato verso una lettura sullo stragismo mafioso dei primi anni Novanta centrata essenzialmente sulla convinzione chela stagione più sanguinaria di Cosa nostra dovesse preparare l’ascesa politica di Silvio Berlusconi.

L’avvocato Repici dichiara dunque, come preludio del “Congresso nazionale” promosso insieme con Salvatore Borsellino, che a un’avvocata è stato negato il diritto di parola. Al processo per la strage di Bologna, Giovene aveva difeso Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Nella due giorni all’auditorium Biagi, organizzata con il patrocinio del Comune di Bologna, il Movimento Agende Rosse ha definito una proposta di legge sul riconoscimento di un nuovo diritto, il “diritto alla verità” appunto. Eppure ha negato, di fatto, un diritto già sancito dalla Costituzione: il diritto di difesa. Ha sostanzialmente disconosciuto, per due persone condannate quali colpevoli per la strage di Bologna, il diritto alla difesa in giudizio. Si invocano nuovi diritti ma si calpesta l’articolo 24 della Carta, voluto dai padri costituenti nel 1948.

L’incredibile vicenda è il paradossale culmine di una due giorni impegnativa, arricchita certamente da relatori di prestigio, da Ilaria Cucchi e Luigi de Magistris a giudici di Cassazione come Roberto Conti e Raffaello Magi. Il Movimento Agende rosse aveva preparato il parterre dei relatori con settimane di anticipo. Sul palco della Sala Borsa si sarebbero avvicendati, come annunciava il comunicato di presentazione, «docenti universitari, magistrati, storici, intellettuali, giornalisti, politici, familiari delle vittime di stragi e attentati» e, appunto, «avvocati».

L’avvocata Giovene viene contattata due mesi prima dal collega Repici, incaricato di coordinare l’intero evento e in particolare il tavolo con i rappresentanti della professione forense. Pensa subito a Giovene, penalista che ha difeso terroristi neri come Mambro e Fioravanti e rossi come i brigatisti Alberto Franceschini e Franco Bonisoli. Una professionista di altissimo livello, come la definirà lo stesso Repici con la sedia vuota a fianco: da alcuni anni, Giovene assiste il gruppo Ferrovie, e ha difeso tra l’altro l’ex ad di Fs e Rfi Mauro Moretti al processo per la strage di Viareggio. Come dirà sempre il coordinatore del convegno nel comunicare l’incredibile editto sulla collega relatrice, «l’avvocata Giovene aveva accettato volentieri l’invito».

È così: avrebbe preso posto in un panel in cui si sarebbe confrontata con altri altri due penalisti, noti per aver assunto spesso il patrocinio delle parti civili, come Fabio AnselmoEttore Zanoni, difensore di alcune importanti organizzazioni sindacali, e Giancarlo Maniga, che ha assistito, tra gli altri, le parti civili nel processo a Erich Priebke. Si mette in moto la macchina dei preparativi, Borsellino ringrazia a propria volta, via mail, Giovene per aver accettato l’invito. Una settimana prima del convegno, gli organizzatori si riuniscono per definire gli ultimi dettagli. Ed è in quella occasione che l’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna pronuncia il veto. “Ha difeso Mambro e Fioravanti, non è il caso che venga qui”, è il senso del discorso.

Il confronto è molto teso, Repici insiste nel far presente quanto sia assurdo associare la figura dell’avvocato ai reati dei suoi assistiti. Ma l’associazione presieduta da Paolo Bolognesi non vuole sentire ragioni. Repici e Borsellino ingoiano il “niet”, il primo lo comunica a Giovene, rosso di vergogna. Lo fa, dopo poche ore, anche Borsellino, tra molte scuse. Giovene si limita a prenderne atto e a far notare che il diritto di difesa viene negato solo nei regimi totalitari. Finché si arriva all’annuncio di domenica 30 novembre da palco dell’Auditorium Biagi. Alla sedia vuota. Al simbolico sacrificio dell’avvocato come presunto complice dei reati commessi dai suoi assistiti.

Un paradigma ributtante, praticato quotidianamente sui social dai bulli che minacciano gli avvocati e soprattutto le avvocate, ancor di più quando osano assumere la tutela di persone indagate per violenza sessuale. Ci si deve forse rassegnare ai teppisti del web. È più difficile rassegnarsi all’idea che associazioni impegnate nel difendere la democrazia calpestino la Costituzione con tanta disinvoltura.