Tre processi subìti, tredici anni di misure di prevenzione, accuse che andavano dalla frode fiscale a quella infamante di concorso esterno in associazione mafiosa, pentiti che lo accusavano, una feroce campagna mediatica, un autentico impero finito letteralmente in fumo. Questa è la storia di Carmelo Patti: partendo da zero è riuscito a creare a partire dagli anni sessanta in poi, in pieno periodo del cosiddetto “miracolo italiano”, un polo industriale che pian piano è diventato il quinto gruppo mondiale in campo di cablaggio di fili per auto motive, con migliaia di dipendenti in tutto il mondo al seguito dell’indotto Fiat di cui era uno dei principali fornitori. Poi si estese nel campo del turismo, diventando il vertice del gruppo alberghiero Valtur, il quarto in Italia.

Tutto iniziò a cambiare però all’inizio del 2000: un’indagine della procura di Marsala ha segnato l’inizio delle disavventure giudiziarie del cavalier Patti. La procura a quel tempo aveva ipotizzato nei suoi confronti alcuni reati fiscali e societari. Nel 2004 il Tribunale di Marsala ha assolto Carmelo Patti da tutti i reati contestati con sentenza divenuta definitiva. Sempre nei primi anni 2000 hanno preso avvio altre due indagini, condotte dalla procura di Palermo: una riguardante un presunto riciclaggio in relazione all’acquisto di un villaggio Valtur a Favignana; l’altra per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, quest’ultima basata su alcune dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Angelo Siino.

Nel febbraio e nel maggio del 2001, la procura antimafia di Palermo ha chiesto ed ottenuto l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Ciò nonostante, nell’estate del 2011, il direttore della Dia ha chiesto al Tribunale di Trapani di applicare a Carmelo Patti le misure di prevenzione personali e patrimoniali. Fu definito «uno dei procedimenti più rilevanti nella storia giudiziaria italiana».

Il processo di primo grado durò ben sette anni e nel novembre 2018 il giudice dispose il sequestro e la confisca di tutti i beni appartenuti a Carmelo Patti, nel frattempo deceduto. Da quel momento il declino e il fallimento. Eppure oggi, nel 2024, la Corte di Appello di Palermo ha ribaltato questo giudizio: la Sezione misure di prevenzione ha depositato le motivazioni del provvedimento con il quale ha annullato in toto il decreto del Tribunale di Trapani che nel luglio del 2018 aveva disposto il maxi sequestro.

«Il cavaliere Patti è deceduto incensurato ed è stato assolto da tutti i processi nei quali è stato chiamato a difendersi ed ha dedicato la sua vita al lavoro ed alla crescita delle sue aziende dopo essere emigrato al nord Italia all’età di 26 anni. Adesso i giudici della Corte di Appello gli hanno restituito - seppure post mortem - quella onorabilità ingiustamente macchiata nel corso dei 13 anni di processo di prevenzione», dicono i suoi avvocati Francesco Bertorotta, Roberto Tricoli, Raffaele Bonsignore, Angelo Mangione, Marco Antonio Dal Ben, Giuseppe Carteni. Carmelo Patti era dunque un imprenditore pulito. «Si potrebbe dire che “il tempo è galantuomo” – proseguono i legali in una nota stampa -; restano, però, i segni di una aggressione mediatica ingiustamente subita dal cavaliere Patti che è stato indicato al pubblico di molte trasmissioni televisive e dalla stampa nazionale come un imprenditore “vicino” al contesto mafioso di Castelvetrano».

Infatti, «il tema più scottante e doloroso della vicenda – dice al Dubbio l’avvocato Francesco Bertorotta – è quello del processo mediatico. Le misure di prevenzione non segnano effetti soltanto sul piano patrimoniale, ma producono anche altri effetti che non colpiscono soltanto il soggetto proposto alla misura - che in questo caso è anche morto - ma colpiscono anche i parenti e tutta la sua famiglia. Nel corso di ben 13 anni di processo di prevenzione la figura di Carmelo Patti è stata descritta dai media come quella di un imprenditore colluso con la mafia o addirittura di prestanome di Matteo Messina Denaro. La Corte di Appello di Palermo ha escluso in modo netto che Carmelo Patti abbia avuto rapporti con l’associazione mafiosa. Sciogliendo la riserva dopo l’ultima udienza del 18 settembre 2023, la Corte di Appello di Palermo ha accolto integralmente gli appelli delle difese, nei quali sono inoltre assorbiti anche quelli formulati nell'interesse di CABLELETTRA S.P.A., in amministrazione straordinaria, in qualità di terza interessata, difesa dal Prof. Avv. Bartolomeo Romano. Ma questo non basta a cancellare il degrado reputazionale e mediatico subito».

L’altra questione che l’avvocato stigmatizza è quella relativa alle misure di prevenzione: «Presentano notevoli criticità di compatibilità con la nostra Costituzione e con i principi della Cedu. Tali dubbi, del resto, sono stati posti di recente all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’oomo nel noto caso Cavallotti contro Italia. La Corte di Appello di Palermo ha escluso che il cavaliere Patti nel corso della sua esistenza terrena fosse un soggetto socialmente pericoloso. Resta, però, aperto un tema più generale sul sistema delle misure di prevenzione e cioè se sia compatibile con un ordinamento costituzionale, democratico e liberale, che una persona possa subire la “pena” della confisca di tutti i suoi beni, anche post mortem, malgrado i giudizi assolutori o di archiviazione intervenuti nei processi penali cui è stato sottoposto nel corso della sua vita».

La vicenda di Patti si intreccia con quella di diversi pentiti, in particolare con le accuse che gli vengono mosse dall’ex mafioso e collaboratore di giustizia Angelo Siino: «Ritengo che certamente i collaboratori di giustizia possono essere utili – ci dice ancora l’avvocato -, tuttavia, il modello di gestione ed i criteri di valutazione delle loro dichiarazioni devono essere rigorosissimi, altrimenti si creano disastri», come nel caso del suo assistito.

Poniamo un’ultima domanda al legale, ossia cosa ci sia di anormale in questa storia: Patti è morto da anni e non ha visto la fine del processo e la proclamazione definitiva della sua innocenza nel campo delle misure di prevenzione. «I tempi della giustizia sono infinitamente lunghi - conclude il legale - e, purtroppo, quello che lei definisce anormalità non lo è affatto».