«Prendendo in considerazione il materiale probatorio complessivamente raccolto sia nel corso del primo grado che nel grado di appello deve escludersi che siano emersi concreti sintomi della pericolosità sociale del proposto, essendo rimasta dimostrata una vicinanza a soggetti, a loro volta vicini all’associazione mafiosa, in assenza di concreti elementi indiziari relativi a una cointeressenza di esponenti mafiosi nelle attività imprenditoriali di Patti». Lo scrive il collegio della Quinta sezione penale-Misure di prevenzione della Corte di appello di Palermo, presieduto da Giacomo Montalbano (nel frattempo andato in pensione e dunque il provvedimento è stato sottoscritto dal consigliere estensore Aldo De Negri), nelle motivazioni del provvedimento con il quale la Corte ha annullato il decreto del Tribunale di Trapani che nel luglio del 2018 aveva disposto la confisca dei beni di Carmelo Patti, l’ex patron Valtur, nel frattempo deceduto e indicato come prestanome di Matteo Messina Denaro, e dei suoi eredi.

Il cavaliere Patti era difeso dall’avvocato Francesco Bertorotta mentre gli eredi erano rappresentati dagli avvocati Roberto Tricoli, Raffaele Bonsignore, Angelo Mangione, Marco Antonio Dal Ben e Giuseppe Carteni. Patti, originario di Castelvetrano, secondo l’accusa sarebbe stato vicino al boss (deceduto a settembre scorso) Matteo Messina Denaro ma ad avviso dei giudici nulla proverebbe il fatto che uno dei più stretti collaboratori di Patti fosse Michele Adragna, mai indagato per mafia e fratello della donna con cui il boss Castelvetrano ha concepito la sua unica figlia.

La corte inoltre non ha dato credito alle dichiarazioni contro Patti dei collaboratori di giustizia tra cui Nino Giuffrè e Angelo Siino che - come sottolineato durante l’arringa di Bertorotta a proposito di quest’ultimo - non solo non è riscontrato ma addirittura non può essere vero.

Nelle 58 pagine di cui si compone il provvedimento, la sezione misure di prevenzione della Corte d’appello di Palermo smonta tutti i presupposti della confisca miliardaria di beni all’ex patron della Valtur Carmelo Patti: «Deve escludersi - scrive infatti il collegio presieduto da Giacomo Montalbano, estensore Aldo De Negri - che siano emersi concreti sintomi della pericolosità sociale qualificata del proposto (Patti, ndr), essendo rimasta dimostrata unicamente una vicinanza a soggetti, a loro volta, vicini all’associazione mafiosa».

Secondo i giudici (a latere Maria Elena Gamberini) non ci sono «concreti elementi indiziari relativi a una cointeressenza di esponenti mafiosi nelle attività imprenditoriali di Patti. Mancavano e mancano, all’esito del presidente giudizio, nel corso del quale non è stato fornito alcun ulteriore valido elemento di valutazione, essendosi in sostanza limitato il pubblico ministero a ripercorrere criticamente il materiale già acquisito in primo grado, indizi che consentano di attribuire a Carmelo Patti la qualifica di imprenditore mafioso, con riferimento al complesso di tutte le sue iniziative imprenditoriali».

Se cadono i presupposti di essere stato il prestanome di Matteo Messina Denaro, viene meno anche un’altra contestazione: «Parimenti priva di solidi fondamenti - continua la Corte palermitana, che ha annullato la misura di prevenzione imposta dal tribunale di Trapani - è risultata l’attribuzione al proposto della pericolosità sociale generica». E nonostante una complessa e capillare attività istruttoria, «non è rimasta dimostrata la dedizione di Carmelo Patti a un’attività delittuosa dalla quale avrebbe tratto almeno per una consistente quota il proprio sostentamento».

La Corte ha escluso che il cavaliere Patti abbia avuto nel corso della sua attività imprenditoriale rapporti di «vicinanza» con l’associazione mafiosa o di avere svolto «tale attività con modalità e comportamenti delittuosi, restituendogli - seppure post mortem - quella onorabilità ingiustamente macchiata nel corso dei 13 anni di processo di prevenzione», afferma il collegio di difesa. «Restano, però, i segni di una aggressione mediatica ingiustamente subita dal cavaliere Patti che è stato indicato al pubblico di molte trasmissioni televisive e dalla stampa nazionale come un imprenditore vicino al contesto mafioso di Castelvetrano».

Secondo i legali «Patti è deceduto incensurato ed è stato assolto da tutti i processi nei quali è stato chiamato a difendersi ed ha dedicato la sua vita al lavoro ed alla crescita delle sue aziende dopo essere emigrato al nord Italia all’età di 26 anni. Il cavaliere Patti non ha - proseguono - mai reagito alle aggressioni mediatiche e non mai perso fiducia nella giustizia che oggi, finalmente, gli restituisce integralmente l’onorabilità e la reputazione ingiustamente macchiata nel corso di questo lungo processo».