PHOTO
PALAZZO DI GIUSTIZIA PALAZZACCIO PIAZZA CAVOUR CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PALAZZACCIO
n ex dirigente pubblico siciliano non dovrà scontare l’interdizione dai pubblici uffici. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sesta sezione penale, presidente Pierluigi Di Stefano, relatore Fabrizio D’Arcangelo) che ha annullato senza rinvio la parte della sentenza emessa dal Tribunale di Messina il 21 novembre 2024 relativa all’applicazione della pena accessoria.
L’interdizione quinquennale era stata disposta nonostante il patteggiamento, con cui l’imputato aveva concordato una pena di tre anni, sette mesi e dieci giorni di reclusione per i reati di corruzione e finanziamento illecito dei partiti. L’accordo processuale prevedeva esplicitamente l’esclusione di qualsiasi pena accessoria, come previsto dall’articolo 444, comma 3- bis, del codice di procedura penale.
L’imputato, secondo quanto riportato nella rubrica imputativa, nella qualità di soggetto attuatore contro il dissesto idrogeologico, era stato accusato dalla Procura di Messina, con altre 13 persone, di una serie di fatti corruttivi relativi all’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti, promossi dal Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico per la Regione Sicilia.
Al centro dell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza, il cantiere aperto per la riqualificazione ambientale e il risanamento igienico dell’alveo del torrente Cataratti-Bisconte, oltre opere varie nel Comune di Messina.
Secondo quanto rilevato dai difensori dell’imputato, gli avvocati Fabrizio Biondo e Bonaventura Candido, il Tribunale di Messina avrebbe disatteso l’accordo tra il pubblico ministero incaricato di istruire il procedimento penale e la difesa, imponendo l’interdizione dai pubblici uffici nonostante la clausola espressa di esclusione.
Una posizione condivisa dalla Procura generale presso la Suprema Corte della Cassazione, che nelle proprie conclusioni ha chiesto l’annullamento della pena accessoria, confermando la violazione di legge. La sesta sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso e sottolineato come, in base alla normativa vigente (si fa riferimento alla nuova legge Cartabia), il giudice che non ritenga di poter rispettare l’accordo tra le parti deve rigettare la richiesta di patteggiamento. Non può invece modificarla unilateralmente, introducendo pene non previste, com’è avvenuto in questo caso, con una palese violazione del diritto di difesa stante l’intesa raggiunta tra chi aveva condotto le indagini e riteneva l’imputato colpevole e chi doveva difendere il dirigente siciliano.
Nel caso in esame, l’interdizione dai pubblici uffici - pur formalmente prevista dall’articolo 29 del codice penale - era preclusa proprio in virtù della clausola di esenzione pattuita dalle parti in riferimento all’articolo 317- bis, norma speciale che disciplina le pene accessorie per i reati contro la pubblica amministrazione.
In definitiva, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la parte della sentenza che imponeva all’imputato l’interdizione quinquennale, ritenendola illegittima. Resta invece confermata la pena principale di reclusione definita con il patteggiamento, con la revoca degli arresti domiciliari.