“Epocale”, “indispensabile”, “indifferibile”. Sono alcuni degli aggettivi che hanno riguardato la riforma civile, nei confronti della quale si nutrono grandi aspettative. Ridurre drasticamente i tempi dei processi consentirebbe all’Italia anche di essere più competitiva e attrattiva dal punto di vista degli investimenti. Ma, per rimanere in tema, il carattere epocale della riforma civile rischia di essere svilito dalla mossa del governo di anticipare di quattro mesi l’entrata in vigore delle nuove norme.

Le preoccupazioni espresse dal Cnf vengono condivise dal Consiglio superiore della magistratura in un parere della Sesta Commissione, approvato dal plenum. La delibera di palazzo dei Marescialli sottolinea che anticipare alcune disposizioni «comporterà uno sforzo organizzativo consistente e difficilmente attuabile entro la data del 28 febbraio 2023, in assenza di adeguate risorse umane e materiali». Il riferimento è soprattutto ai previsti scambi tra Procure e Tribunali per alcuni casi di violenza di genere.

Sugli orientamenti del Governo e su alcuni tratti salienti della riforma abbiamo parlato con due eminenti studiosi: il professor Claudio Cecchella, ordinario di Diritto processuale civile nell’Università di Pisa, e l’avvocata Grazia Cesaro, presidente dell’Unione nazionale delle Camere minorili (Uncm). «La prospettiva che si apre per il processo ordinario di diritto comune – commenta il professor Cecchella - non pare abbia controindicazioni gravi, se non la consacrazione della mancanza di ogni prospettiva all’auspicio dell’avvocatura verso alcuni ritocchi alla riforma. Molto diversa è l’analisi da offrire in relazione alle norme sul processo unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, che nella prosecuzione di una ripartizione di competenze tra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario, e ciò sino a due anni dalla pubblicazione del decreto legislativo, non potrà beneficiare dell’automazione elettronica del processo innanzi al Tribunale per i minorenni, la cui funzionalità è ancora relegata alla tradizionale forma materiale degli atti e dei provvedimenti. Ne potrebbero uscire non poche problematiche applicative e organizzative».

L’accademico dell’Università di Pisa si sofferma su alcuni aspetti più generali della riforma. «Si deve sottolineare – dice Cecchella - che questa non si è limitata, come quaranta anni di riforme che l’hanno preceduta, a partire dalla legge n. 353 del 1990, a soli interventi sul rito, ma è stata accompagnata da misure di carattere organizzativo, quale la definitiva introduzione dell’Ufficio del processo, a coadiuvare il giudice nella sua attività, e gli interventi per una generale digitalizzazione del processo e, infine, i numerosi provvedimenti ministeriali che hanno aperto i concorsi a numeri inconsueti nella selezione dei futuri magistrati e del personale amministrativo, munito non solo di preparazione giuridica, ma anche informatica».

Per quanto concerne gli interventi sul rito, secondo Cecchella, «non può essere non salutato con favore l’intervento sul procedimento in appello, con una migliore formulazione della norma sui motivi, si veda l’articolo 342 del Codice di procedura civile, e sul filtro, soluzioni auspicate dall’avvocatura e dalla dottrina processualistica». «Ugualmente – prosegue – per quanto riguarda la razionalizzazione del rito camerale, finalmente unificato innanzi alla Suprema Corte, pur nel quadro criticato della sostanziale abrogazione dell’udienza pubblica, nonché il rinvio pregiudiziale al giudice di legittimità per assicurare l’uniforme applicazione della legge nelle controversie seriali che implicano difficoltà interpretative». Altro aspetto rilevante è quello delle preclusioni. «Quanto al rito di primo grado – conclude Cecchella -, costituiscono l’anticipazione delle memorie di cui al sesto comma dell’articolo 183 del Codice di procedura civile, per cui gli argomenti critici non sembrano cogliere nel segno. Il legislatore vuole che l’udienza di prima comparizione non sia un’udienza vuota, ma governata da un giudice perfettamente consapevole dei contenuti degli atti di parte e in grado di decidere verso l’istruttoria o verso l’immediata decisione. Nello sviluppo graduale delle preclusioni per le parti, gli atti introduttivi, in relazione a domande ed eccezioni, e memorie successive, in relazione alle prove, resta l’incognita dei poteri attribuiti al giudice ai sensi dell’articolo 171 bis c.p.c., in limine litis, nella rilevazione e sanatoria dei vizi processuali e delle questioni d’ufficio, in funzione della maggior consapevolezza degli atti di causa all’udienza. È attribuito il potere allo stesso giudice di differire l’udienza di prima comparizione. Il differimento potrebbe però vanificare gli intenti acceleratori del processo, essendo il termine fissato per il rinvio, di quarantacinque giorni, evidentemente di natura ordinatoria».

L’avvocata Grazia Cesaro esprime forti perplessità «per l’ipotesi dell’anticipata applicazione della riforma alla data del 28 febbraio per la materia di famiglia e minorile». «Condividiamo – evidenzia la presidente dell’Unione nazionale delle Camere minorili - la preoccupazione espressa da Cnf e Ocf, secondo cui ci sarà il caos nelle nostre aule di giustizia e ciò, in materie delicate come le nostre, non è assolutamente pensabile, se non rischiando di creare un gravissimo vulnus alle esigenze di tutela dei soggetti più deboli». L’esecutivo, a detta di Cesaro, sta peccando di superficialità. «L’intenzione del Governo – afferma - di anticipare di quattro mesi l’applicabilità delle norme sul rito familiare e minorile non tiene minimamente conto della realtà vissuta nelle aule di giustizia, atteso che ad oggi tutti i Tribunali per i Minorenni sono sforniti dello strumento del processo telematico, rendendo di fatto impossibile un reale svolgimento del processo secondo le nuove norme, a detrimento delle parti coinvolte. Si arriverebbe al paradosso che solo i pubblici ministeri minorili avrebbero accesso ai fascicoli e non anche i difensori delle parti e i curatori. Inoltre, nei Tribunali per i Minorenni la riduzione delle attività delegabili ai giudici onorari, prevista dalle nuove norme, impatterà immediatamente in strutture già sovraccariche e in cronica carenza di organico, senza la possibilità di riorganizzarsi in tempi ragionevoli. Una anticipazione così rilevante, repentina e inaspettata rischia di paralizzare il sistema della giustizia minorile, ciò che una società avanzata come la nostra non può permettersi».