L’emendamento del Governo alla legge di Bilancio, che anticipa l’entrata in vigore della riforma civile al 28 febbraio prossimo rispetto al 30 giugno 2023, ha provocato le reazioni dei processualcivilisti.

Francesco Paolo Luiso, accademico dei Lincei, già ordinario di Diritto processuale civile nell'Università di Pisa, ha presieduto la Commissione, istituita nel 2021, che è intervenuta in materia civile e di strumenti alternativi con un obiettivo ben preciso: ridurre i tempi dei processi e ottenere una migliore efficienza dell'amministrazione della giustizia. Secondo Luiso, l’anticipazione dell’entrata in vigore della riforma civile non rappresenta un problema. Anzi. «A me pare – dice al Dubbio - che sia possibile, nel senso che una vacatio legis lunga oltre sette mesi era anche eccessiva. La riforma civile può entrare benissimo in vigore il 28 febbraio prossimo. Aspettare fino a giugno non cambierà le cose».

Le preoccupazioni espresse dall’avvocatura, in base agli emendamenti governativi, non sarebbero, dunque, giustificate. «Cosa ci sarebbe da fare ancora per fare entrare in vigore la riforma civile?», si domanda Luiso. «Dal primo di gennaio – aggiunge - entrerà comunque in vigore il telematico obbligatorio in Cassazione. Non si pone nessun problema in merito all’anticipazione di cui si parla in queste ore. Teniamo conto che nei confronti della riforma civile si nutrono grandi aspettative per le ricadute in termini di sviluppo per il paese. Finché, però, non aumenteremo almeno di tre volte i soggetti che possono fare le sentenze, i risultati non li raggiungeremo. Il nostro problema è il collo di bottiglia delle decisioni. I soggetti che fanno le sentenze, l’ho detto innumerevoli volte e lo ripeto, sono troppo pochi. Nessuno vuole porre rimedio. Il Governo aveva proposto di aumentare la competenza dei Giudici di pace a 15mila euro. Il Parlamento l’ha portata a 10mila. Come facciamo a fare le sentenze, se mancano i giudici?».

La nota dolente, quindi, continua ad essere la mancanza di risorse umane, nello specifico i giudici. Pochi giorni fa il ministero della Giustizia ha risposto ad una interrogazione del deputato Devis Dori e ha rilevato una scopertura del 65% dei Giudici di pace (sono in servizio 1.167 e i posti vacanti sono 2.245). «La colpa – afferma il professor Luiso – è del ministero della Giustizia che non ha mai coperto i vuoti di organico. L’opinione pubblica si occupa in prevalenza di penale. Il ministro Nordio, considerata la sua provenienza professionale, non credo che farà molto per il civile. In Italia i magistrati di professione addetti al civile sono circa seimila, vale a dire uno ogni 20mila abitanti. Questi numeri dicono tutto. La riforma ha migliorato tantissime cose, se si pensa ad una serie di istituti. Badiamo bene, però, la velocità dei processi non dipende dalla riforma. È strettamente connessa al numero dei giudici. Il civile riguarda tutti noi. La riforma presenta istituti nuovi, penso al ricorso pregiudiziale in Cassazione per avere delle decisioni subito e non dopo dieci anni. L’Ufficio per il processo ha anche la sua importanza, ma se non si triplicano i numeri delle sentenze che il magistrato fa in un anno, rischia di non essere utile. Vedremo nel 2023 quante sentenze faranno i giudici».

La geografia giudiziaria, modificata quasi dieci anni, ha avuto un impatto sulla giustizia civile e gli effetti si notano tuttora. «Le soppressioni di alcuni Tribunali, effettuate negli anni scorsi – conclude Luiso -, non sono servite granché. È stato un modo per vantarsi di alcuni provvedimenti. Semmai, si dovrebbe rivedere la geografia delle Corti d’appello. Quattro Corti d’appello in Sicilia, per esempio, una Corte d’appello in Molise, a Campobasso, dove il distretto ha meno abitanti della provincia di Lucca, pongono all’attenzione tanti spunti di riflessione».

Alessandro Patelli, coordinatore della Commissione diritto civile e procedura civile del Consiglio nazionale forense, esprime forti perplessità rispetto alle scelte di palazzo Chigi: «Il Cnf ha sempre detto che siamo di fronte ad una rivoluzione epocale e, quindi, è necessario che tutti gli operatori conoscano al meglio, prendendone dimestichezza, il nuovo strumento processuale. Di qui l’esigenza dell’operatività delle nuove norme a partire dal 30 giugno 2023».

L’anticipazione al 28 febbraio dell’entrata in vigore della riforma civile potrebbe causare alcuni problemi. «Il periodo cuscinetto fino al 30 giugno 2023 – commenta Patelli - avrebbe consentito agli operatori di prendere le misure sul nuovo processo civile. Lo stesso vale per l’organizzazione giudiziaria. L’Ufficio per il processo avrebbe avuto il tempo di rodare la sua attività, indispensabile per contribuire alla celerità dei processi. Questo discorso va fatto, comunque, al netto delle criticità che l’avvocatura ha evidenziato in merito alla riforma civile».

Il riferimento di Patelli è ai tecnicismi. «In generale - aggiunge - possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un processo che allontana il cittadino dalla giurisdizione. Denota una forma di fastidio per la parte che va davanti all’autorità giudiziaria. È un processo molto severo, quasi autoritario, perché è infarcito di sanzioni sia di tipo processuale, parliamo di preclusioni e decadenze, e una corsa forsennata nella fase istruttoria, sia anche in termini pecuniari. Sono previste sanzioni che vanno a colpire la parte in determinate situazioni. È un processo molto lontano dal modello ispirato al principio dispositivo secondo cui il processo dovrebbe essere a disposizione delle parti, senza generare squilibri verso il giudice e penalizzazione per le parti stesse».