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Shabbar Abbas è accusato in concorso di aver ucciso la figlia Saman
L’omicidio di Saman Abbas, la 18enne pachistana uccisa a Novellara nel 2021, non fu un gesto improvviso, ma un piano premeditato dal clan familiare. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna, depositate ad aprile, che hanno confermato la condanna all’ergastolo per i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen e per i cugini Noman Ul Haq e Ikram Ijaz, oltre ai 22 anni inflitti allo zio Danish Hasnain.
Secondo i giudici, la decisione di sopprimere la ragazza nacque “con fredda lucidità” nel momento in cui i familiari ebbero conferma della volontà di Saman di costruirsi una vita autonoma, in contrasto con i valori culturali e religiosi della famiglia.
La notte del 30 aprile
La sentenza sottolinea come la data del delitto non fu casuale: il 30 aprile 2021 era l’ultima occasione per agire, dal momento che il giorno successivo i genitori sarebbero fuggiti in Pakistan. I giudici ritengono che Saman sia stata attirata lungo lo stradello dove la aspettavano lo zio e i cugini. A loro spetta, secondo la Corte, l’esecuzione materiale del delitto: strangolamento e sepoltura in una fossa già scavata nei pressi dell’abitazione familiare. I genitori, pur non avendo eseguito materialmente l’uccisione, avrebbero assistito all’omicidio, approvandone e condividendone la realizzazione.
Ruolo dei cugini e responsabilità collettiva
I giudici evidenziano come i due cugini, assolti in primo grado ma condannati all’ergastolo in appello, abbiano reso possibile l’omicidio «nell’indifferente esecuzione di una giovane ragazza, in un contesto di acritico assenso alla determinazione del clan». La responsabilità collettiva emerge come elemento centrale: a eccezione del fratello minore, ritenuto inaffidabile, l’intero nucleo familiare avrebbe condiviso la decisione di eliminare la 18enne.
Il fratello minore, testimone chiave
Un passaggio cruciale delle motivazioni riguarda Ali Haider, fratello di Saman, che all’epoca era minorenne. Il ragazzo – oggi 21enne – si è costituito parte civile contro i familiari, fornendo «una ricostruzione articolata, coerente e credibile degli eventi». Secondo i giudici, la sua estraneità al piano criminoso fu totale: venne considerato un ostacolo al delitto e, quando mostrò ai genitori le chat della sorella con il fidanzato, lo fece pensando che sarebbe stata solo punita o redarguita, non certo uccisa.
Il corpo di Saman fu ritrovato solo nel novembre 2022, in un casolare abbandonato vicino alla casa di famiglia. L’omicidio ha assunto negli anni il valore simbolico di un delitto d’onore mascherato, specchio di un conflitto insanabile tra libertà individuale e imposizione familiare.