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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Un calvario giudiziario che si protrae da ben tredici anni sta spingendo Amalia Iorio, madre del 14enne Emanuele Di Caterino ucciso ad Aversa (Casertano) il 7 aprile 2013, a lanciare un accorato appello al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Emanuele fu ucciso a coltellate da un altro giovane, all'epoca 16enne e unico imputato nel processo, mentre interveniva per sedare una lite.
La madre, in una dichiarazione all'AGI, ha spiegato che l'attesa di una sentenza definitiva è ormai insopportabile. Domani era prevista una nuova udienza in Corte d'Appello a Napoli dopo un rinvio della Cassazione, ma il procedimento continua a non celebrarsi. Il problema risiede nel fatto che il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli non riesce a comporre il collegio giudicante con magistrati che non siano «già, in qualche modo, espresso parere o che siano intervenuti sulla vicenda». Amalia Iorio teme che il «lungo calvario giudiziario possa ancora prolungarsi».
La donna, sebbene sia «delusa e amareggiata», chiede chiarezza, non vendetta: «Non cerco nulla, la verità già si sa. Vorrei solo la definizione di questo processo affinché sia da monito per i tanti giovani perbene, ma soprattutto per coloro che usano violenza, in modo che sappiano che la giustizia esiste e che non sempre la faranno franca».
L'appello al Ministro Nordio è diretto e senza filtri: «Intervenire immediatamente per rendere possibile la celebrazione del procedimento, a prescindere dalla responsabilità reale o presunta dell'imputato. È giusto che mi si conceda la possibilità di piangere mio figlio, sapendo che chi ha ucciso sia stato giudicato». Il suo cruccio più grande è porre fine a questo dolore e lasciare finalmente riposare Emanuele, il cui nome continua a risuonare tra le aule di tribunali a Roma e Napoli.
Amalia Iorio ha voluto ricordare la dinamica della tragedia: «Emanuele è stato accoltellato alle spalle con quel litigio non c'entrava nulla. Stava solo soccorrendo un altro ragazzo che era stato accoltellato prima». Concludendo, ha ribadito che la sua battaglia va oltre il caso personale: «Vorrei che i fratelli di Emanuele, i suoi amici più cari, i tanti bravi ragazzi di questa terra, possano credere nella giustizia. Ma soprattutto, mettere la parola fine a questo processo farebbe capire a chi ancora si ostina ad usare violenza, ad ammazzare per nulla, che nessuno resta impunito dinanzi a un crimine. Il ritardo della giustizia determina un senso di impunità pericoloso».