Sembra poco. Ma un piccolo segno c’è. E riguarda il linguaggio. Giorgia Meloni risponde sul carcere. Lo fa nell’ambito di un’intervista al direttore dell’AdnKronos Davide Desario. Conclude con la consueta affermazione di intransigenza: «Non ho mai creduto che la strada per ridurre il sovraffollamento siano indulti e svuotacarceri». E giù con l’altrettanto ricorrente teoria della «capienza» da adeguare alle «necessità», cioè al numero dei detenuti.

Meloni continua cioè ad affidarsi in via di fatto esclusiva a quella che definisce «edilizia carceraria». Ma non si può sottovalutare il fatto che la presidente del Consiglio senta il bisogno di introdurre la questione con ben altro tono, ispirato al Pontefice appena scomparso: «Mi hanno molto colpito le parole di Papa Francesco quando all’uscita della sua ultima visita a un carcere ha detto che, ogni volta che vede dei carcerati, pensa “perché loro e non io”. Non dobbiamo mai perdere la nostra umanità nei confronti di chi ha sbagliato e sta scontando una pena».


Quella frase citata da Meloni era stata ricordata una settimana fa dalla ex guardasigilli Marta Cartabia in un’intervista al Dubbio. Deve aver colpito la premier. Che la ripete. Certo solo in premessa. Ma in quella premessa trova anche modo di puntualizzare: «Certamente le condizioni carcerarie ci preoccupano, abbiamo ereditato una situazione pesante sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria a cui stiamo cercando di porre rimedio con interventi straordinari e», appunto, «un nuovo piano di edilizia carceraria». La conclusione è, certo, assai meno incoraggiante dell’abbrivio.


Come detto, la premier avverte almeno il bisogno di rispondere agli appelli che si moltiplicano, sullo slancio della testimonianza lasciata da Papa Francesco. A guardare il rovescio della medaglia, però, le frasi rilasciate dal Capo del governo all’AdnKronos sono anche una chiusura abbastanza netta all’ipotesi più accreditata nelle dichiarazioni degli ultimi giorni, il, cosiddetto “indultino dell’ultimo anno”. Si tratta della liberazione dei reclusi che abbiano da scontare non più di 12 mesi, sulla quale ha lavorato Nessuno tocchi Caino. L’ipotesi ha avuto un’ampia eco negli ultimi giorni dopo che Pier Ferdinando Casini, in un’intervista al Corriere della Sera di martedì scorso, non aveva esitato a invocare anche provvedimenti straordinari come un’amnistia o un indulto, perché «la situazione delle carceri italiane non è più sostenibile».

È stato sempre il Dubbio a raccogliere il consenso di alcune autorevoli voci della maggioranza all’ipotesi di un indulto limitato all’ultimo anno di pena, secondo l’ipotesi di Nessuno tocchi Caino: prima il vicepresidente forzista della Camera Giorgio Mulè, quindi il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, e ancora altre prime linee azzurre sul fronte giustizia come Tommaso Calderone e Pierantonio Zanettin. È chiaro che Meloni, con la linea centrata sull’ampliamento (tutto teorico, di fatti realizzabile solo nel giro di molt anni) dei posti negli istituti di pena, chiude la porta a questi appelli, e dunque anche a una parte della propria maggioranza: «Non ho mai creduto che la strada per ridurre il sovraffollamento siano indulti e svuotacarceri», è la già citata replica che la premier consegna al direttore dell’AdnKronos.

«Uno Stato giusto adegua la capienza alle necessità, non i reati al numero di posti disponibili», dice Meloni. Secondo la quale «servono misure strutturali per ampliare gli spazi a disposizione, e per migliorare le condizioni carcerarie, ed è quello che stiamo facendo». La leader del governo è convinta di «arrivare alla fine della legislatura con una capienza nelle carceri aumentata di almeno settemila unità, ma fermo restando che occorre trovare le risorse il mio intendimento sarebbe di arrivare a 10mila, cioè ai posti medi mancanti secondo le statistiche degli ultimi anni».
La linea non cambia, dunque. Ma adesso il lascito di Francesco, raccolto da figure di rilievo come Cartabia, Casini e Mulè, costringe la presidente del Consiglio a inserire la questione del sovraffollamento carcerario fra le headlines del proprio discorso pubblico.