Due anni e quattro mesi. Tanto è durato il tempo sospeso di Marcello Minenna, ex direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed ex assessore della Regione Calabria, travolto da un’inchiesta spazzata via dal giudice dell’udienza preliminare di Forlì, Ilaria Rosati, che ha assolto tutti gli imputati con la formula piena «perché il fatto non sussiste». Assolti anche Sergio Covato, funzionario della prefettura di Ravenna, e Gianluca Prati, all’epoca responsabile del magazzino unico dell’Ausl Romagna.

L’indagine, condotta dalla procura di Forlì, riguardava una maxi fornitura di mascherine cinesi destinate all’Ausl Romagna - valore 3,6 milioni di euro - ritenute non regolamentari. Nel giugno 2023 Minenna era finito ai domiciliari, travolto da accuse di corruzione legate al presunto sdoganamento agevolato dei dispositivi durante la pandemia.

Nello stesso procedimento era coinvolto anche l’ex deputato leghista Gianluca Pini, che ha scelto di patteggiare una pena di 23 mesi. La pubblica accusa, rappresentata dal pm Laura Brunelli, aveva chiesto condanne a due anni e quattro mesi per Minenna (difeso dal professor Vittorio Manes e dall’avvocato Gianluca Tognozzi), a due anni per Covato (difeso dall’avvocato Carlo Benini) e a un anno per Prati ( difeso dagli avvocati Giovanni Maio e Alessandro Monteleone di Cesena).

Secondo l’accusa, il «pactum sceleris» sarebbe consistito nella promessa, da parte di Pini, di accreditare Minenna presso la Lega, «in modo che venisse considerato un uomo di quel partito», promettendogli «la riconferma della nomina a direttore dell’Agenzia delle Dogane». In cambio, Minenna si sarebbe messo a disposizione di Pini per risolvere i suoi problemi con lo sdoganamento delle merci. L’arresto di Minenna era stato negato una prima volta dal gip ad aprile 2023, in quanto «non risultava più ricoprire il suo incarico di Direttore generale dell’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane, da cui era stato rimosso a seguito del meccanismo dello spoils system per le determinazioni assunte dal nuovo governo».

Successivamente, però, il gip accolse una nuova richiesta, alla luce del nuovo incarico da assessore della Regione Calabria nella giunta di Roberto Occhiuto, «altrettanto rilevante e prestigioso», secondo il giudice, avendo assunto «una molteplicità di deleghe di assoluto rilievo» che comportano anche la «gestione delle risorse dei soldi legati all’attuazione del Pnrr». Posizione che gli avrebbe garantito, secondo il gip, un ruolo «di cerniera tra Regione Calabria e ministeri coinvolti nella attuazione del Pnrr», dandogli dunque «molteplici possibilità per inquinare le prove», esercitando «sui singoli funzionari dell’Agenzia delle Dogane da escutere, ma anche su altri dipendenti pubblici, concrete azioni di pressione». Da una conversazione captata, inoltre, sarebbe emersa «la sua volontà addirittura di incidere proprio nella fase procedimentale sui pubblici ministeri della Procura di Roma che stanno svolgendo indagini a suo carico».

Il Riesame, il 7 luglio successivo, restituì la libertà a Minenna, assestando un primo colpo all’inchiesta. I rapporti tra Pini e Minenna, infatti, non nacquero durante la pandemia, ma già nel gennaio 2019, e proseguirono ben oltre l’emergenza sanitaria (fino al maggio 2021). Per i giudici del Riesame, si trattava di relazioni di natura politica, legate alle aspirazioni di carriera di Minenna e alla ricerca di sostegno politico, non di accordi corruttivi.

Non esisteva, secondo il Tribunale, b quando Pini offrì il suo appoggio politico, nessuno dei due poteva prevedere la futura pandemia, quindi non poteva esserci un’intesa finalizzata a favorire importazioni di mascherine o simili vantaggi. È vero - secondo il Riesame - che Pini, durante la pandemia, si rese protagonista di condotte truffaldine a danno della Ausl Romagna, ma Minenna non ebbe alcun ruolo in tali attività. E gli interventi a favore di Pini in quel periodo furono letti come atti di normale collaborazione amministrativa, legittimi in un momento di emergenza sanitaria, e non come contropartita di favori politici ricevuti.

Il Tribunale del Riesame ha inoltre escluso le esigenze cautelari poiché Minenna non rivestiva più alcun incarico che gli consentisse di reiterare il reato né di influire sulle indagini. L’incarico politico in Calabria, infatti, non era comparabile al precedente ruolo di Direttore generale dell’Agenzia delle Dogane, non conferendogli poteri né competenze sugli ambiti oggetto d’indagine (dogane, sdoganamenti o forniture sanitarie) e non comportando contatti con i soggetti coinvolti nella vicenda. Nessun rischio di interferenza, dunque, né di fuga o condotte ostative alla giustizia.

Da qui la revoca dei domiciliari, che però non ha rappresentato la fine della vicenda. Anche perché in gioco c’era non solo la libertà, ma anche quel capitale reputazionale che rappresenta un fattore sempre asimmetrico nelle inchieste, inciso in maniera ancora più gravosa per persone che rivestono ruoli di rilievo. E che oggi, dopo due anni e quattro mesi, risulta comunque essere stato comunque ingiustamente messo in discussione. «Questa pronuncia restituisce finalmente dignità ad un servitore dello Stato – hanno commentato Manes e Tognozzi – costretto a dover sopportare addirittura la restrizione della propria libertà personale nella fase delle indagini per accuse che oggi sono state spazzate via una volta per tutte».