La vicenda che coinvolge la capo di Gabinetto del guardasigilli Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi, rischia di diventare, paradossalmente, l’epicentro della politica giudiziaria dei prossimi mesi. Non si tratta di un individualismo personale: in gioco v’è la tenuta degli equilibri costituzionali e la stessa configurazione dei poteri tra Parlamento, governo e magistratura.

Il nodo di fondo riguarda la contestazione di falsa testimonianza. Può essa considerarsi un episodio autonomo, come sostenuto da taluni, o va letta come reato connesso all’azione dei ministri e del sottosegretario, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso governativo? La distinzione non è meramente tecnica: dall’inquadramento dipende l’applicabilità o meno della disciplina costituzionale sulle autorizzazioni a procedere. La giurisprudenza della Corte costituzionale, pur riconoscendo la possibilità di estendere la copertura ai reati “funzionalmente collegati” all’attività ministeriale, ha sempre adottato un approccio restrittivo, onde evitare che la connessione divenga un facile schermo per immunità improprie.

La dottoressa Bartolozzi ha scelto la via del conflitto di attribuzioni. Ma fino a che punto un singolo deputato può dolersi di un atto che, formalmente, riguarda le prerogative dell’intera Camera? La giurisprudenza costituzionale, da ultimo con ordinanze che hanno riconosciuto la legittimazione individuale in caso di lesione diretta del potere di voto o di partecipazione parlamentare, apre spiragli significativi. Resta tuttavia l’incertezza circa la tenuta di tale impostazione quando non vi sia un atto che incide immediatamente sulla funzione legislativa, bensì su procedimenti incidentali come l’autorizzazione a procedere.

Aspetto ancor più delicato è la configurabilità di un conflitto fondato non su un atto adottato, bensì su un’omissione: la mancata estensione a Bartolozzi della richiesta di autorizzazione per ministri e sottosegretario. Se la Consulta accogliesse tale impostazione, si aprirebbe una frontiera nuova: la Corte come garante non solo contro gli sconfinamenti, ma anche contro i vuoti procedurali. La comparazione con altri ordinamenti mostra scenari inediti: in Francia il controllo sulle immunità è saldamente in mano politica, mentre in Spagna il Tribunal Constitucional ha più volte ribadito l’impossibilità di sindacare omissioni prive di immediata incidenza su poteri costituzionali.

La posta in gioco è dunque duplice. Da un lato, la definizione dei limiti della connessione dei reati ministeriali, che tocca il cuore del rapporto tra responsabilità politica e responsabilità penale. Dall’altro, la verifica della legittimazione individuale e del conflitto da omissione, che potrebbe ridisegnare i rapporti tra singolo parlamentare e organo assembleare.

Non è solo un caso processuale: è un vero “laboratorio costituzionale” che metterà alla prova la Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni di sistema con conseguenze durature.

La “vicenda Bartolozzi” dimostra come il confine tra diritto e politica, nel nostro ordinamento, sia sottile e continuamente sollecitato. La Corte costituzionale, ancora una volta, sarà chiamata a fungere da arbitro di conflitti che nascono da vicende individuali ma che finiscono per incidere sulla stessa architettura istituzionale.