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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio nell’aula della Camera dei deputati durante il lavori sul ddl costituzionale “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinareâ€, Roma, Martedì 17 Settembre 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Minister of Justice Carlo Nordio in the Chamber of deputies during the debate on the constitutional bill relating to the judiciary system and the establishment of the Disciplinary Court, Rome, Wednesday, September 17, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
In vista del No al referendum sulle carriere separate, i magistrati hanno pochi punti fermi, chiari ma fragili se sottoposti a un’analisi seria. Spicca fra tutti il timore che la riforma alteri l’equilibrio fra poteri. Nelle dichiarazioni ufficiali, però, ogni tanto salta fuori ben altro tema. Martedì scorso, al Salone della Giustizia, il presidente dell’Anm Cesare Parodi ha detto che, se pure la separazione delle carriere, e il sorteggio, otterranno la maggioranza nella consultazione confermativa, ed entreranno dunque in Costituzione, “le correnti continueranno ad esserci”, solo che “non saranno più rappresentate dagli uomini e dalle donne più adatti”. Un po’ sibillino, ma la frase successiva chiarisce meglio: “Avremo un sistema i cui i singoli non dovranno rispondere a nessuno, e ciò è pericoloso”. Cioè: sarà divelto il sistema correntizio attuale e se ne affermerà uno nuovo, incontrollabile per gli attuali leader dell’associazionismo giudiziario. Sembra una preoccupazione strettamente corporativa. Tanto che, il giorno dopo, il vicepresidente della commissione Giustizia di Montecitorio Enrico Costa, deputato di FI, ha potuto chiosare: “Per il presidente Anm è ‘pericoloso’ che, con la separazione delle carriere e il sorteggio, i futuri consiglieri Csm ‘non dovranno più rispondere a nessuno’. Per noi è ‘pericoloso’ se i consiglieri Csm rispondono alle correnti”. Un rigore a porta vuota.
Ma per capire davvero il senso dell’allarme lanciato dal “sindacato” delle toghe, bisogna risalire a poco più di un mese fa. A una breve intervista rilasciata lo scorso 19 settembre al Corriere della Sera da Stefano Celli, che nell’Anm è il vicesegretario e rappresenta “Md”, il gruppo più progressista. Quando il giornalista gli chiede se il sorteggio non avrà il pregio di eliminare appunto “il problema delle correnti”, Celli risponde: “Prendiamo il caso Palamara, sempre citato. Se lui aveva una clientela è perché c’erano clienti. In che modo una persona estratta a caso dovrebbe tenersi lontana dalla tentazione di gestire un potere per fini privati, senza nemmeno più la remora di dover dar conto al suo gruppo o alle promesse fatte?”.
È un quadro terribile, ma forse né Parodi né Celli se ne sono resi conto: in pratica, i quasi 9.000 pm e giudici ordinari italiani vengono descritti come una falange di spregiudicati carrieristi, sempre in cerca di una raccomandazione per scalare gli uffici in cui lavorano. E chi di loro, con l’eventuale entrata in vigore della riforma, prenderà posto nei due futuri Csm (uno per i pm e uno per i giudici) si metterà ineluttabilmente a fare il lobbista, per gestire in maniera privatistica le pretese dei colleghi, in una logica spartitoria controllata non più dagli attuali gruppi associativi
ma, al limite, da piccole cordate estemporanee allestite di volta in volta all’interno dei due citati Consigli superiori. Una previsione davvero sconcertante: in pratica, l’Anm, i suoi vertici e le correnti che all’Anm danno vita si percepiscono come pacificatori in una selva di rapaci.
A occhio, sembra un’iperbole evocata, non sappiamo se in modo calcolato o, almeno in parte, inconsapevole, per avvalorare la necessità della propria sopravvivenza. Attenzione: Parodi e Celli non lasciano intravedere alcuna possibilità di vita futura, per le correnti, una volta che fosse espropriato loro il potere. Neppure lontanamente, il numero uno e il “numero quattro”, se così si può dire, dell’Associazione magistrati immaginano, per se stessi e per i loro gruppi, un ritorno alla vocazione culturale da cui l’associazionismo giudiziario ebbe origine più di mezzo secolo fa. Sempre a occhio è, d’altra parte, davvero improbabile che la magistratura sia costituita dalla platea vorace più o meno esplicitamente evocata da Celli prima e Parodi poi. Lo conferma la reazione dell’unico togato estraneo alle correnti che sieda nell’attuale Csm, Andrea Mirenda: il quale cita le parole del presidente Anm (“avremo un sistema in cui i singoli non dovranno rispondere a nessuno e questo è molto pericoloso”) e commenta: “Vale la pena di ricordare come ciò che Parodi definisce ‘ pericoloso’ sia addirittura raccomandato nel Codice etico dei Consigli di Giustizia d’Europa, votato all’unanimità anche dal nostro Csm”. E cioè: “L’indipendenza interna ed esterna dei consiglieri dalle varie camarille correntizie, a loro volta cinghia di trasmissione di precisi gruppi di potere politico, è un valore! Il dottor Parodi dovrà farsene una ragione: sì al sorteggio e all’intera riforma, per voltare pagina”.
Si aprono lacerazioni profonde, nell’ordine giudiziario. Altro esempio arriva dal governatore pugliese, e magistrato in aspettativa, Michele Emiliano, che ieri ha invitato l’Anm a “darsi una calmata, perché”, come dargli torto, “rappresenta i magistrati: non ci si può costituire come Comitato per il No, non ci si può contrapporre al governo su un referendum”.
Sono Mirenda ed Emiliano, a fare eccezione? O non sarà piuttosto che l’Anm e i suoi leader, a furia di vivere immersi nel loro piccolo mondo parapolitico, hanno costruito un’immagine della magistratura assai peggiore rispetto alla realtà? Difficile rispondere. Ma, sempre a uno sguardo frettoloso, viene da puntare piuttosto sulla seconda ipotesi.


