La visita del ministro della Giustizia Gérald Darmanin a Nicolas Sarkozy nella prigione della Santé ha scatenato una brutale ondata di polemiche e perfino una denuncia alla Corte di giustizia della Repubblica (CJR) da parte di un collettivo di avvocati che lo accusa di “conflitto di interesse” e “interferenza illecita” in una vicenda giudiziaria ancora aperta.

Lo stesso procuratore capo della repubblica e l'Unione sindacale dei magistrati francesi (Usm) la scorsa settimana avevano diffidato Darmanin nel fare visita all’ex presidente, spiegando che quel gesto «discredita la sentenza dei giudici» mentre diversi leader politici mettono in dubbio la sua imparzialità di guardasigilli, come il segretario del Partito socialista Olivier Faure, che denuncia la «pressione indebita sulla giustizia»; o il deputato insoumis Éric Coquerel che parla di «favoritismo fuori luogo».

Ma questi argomenti cadono di fronte ai fatti: Sarkozy non ha ricevuto alcun beneficio procedurale, nessuna interferenza sulla Corte d’appello che il prossimo marzo dovrà giudicarlo. Ha soltanto ricevuto la visita di un ministro che, in forza della legge, ha un dovere di sorveglianza sulle condizioni di detenzione di un ex capo di Stato.

Tutto nasce dalle parole pronunciate da Darmanin su France Inter il 20 ottobre, alla vigilia dell’incarcerazione di Sarkozy. Il ministro aveva espresso la sua «tristezza» per la condanna e annunciato che avrebbe verificato personalmente lo stato della sua detenzione. E non ha nascosto i propri sentimenti: «Lo conosco, sono stato collaboratore diversi anni, non posso restare insensibile di fronte alla sua sofferenza umana».

Ricordiamolo: il ministro della Giustizia non è un magistrato né un giudice d’appello: la sua funzione non è decidere delle sorti processuali di un imputato, bensì garantire il buon funzionamento sistema tra cui l’amministrazione penitenziaria e ha pieno titolo a visitare qualunque carcere e qualunque detenuto, soprattutto in circostanze eccezionali come la reclusione di un ex Capo di Stato.

Darmanin ha agito nel rispetto dei limiti imposti dalla separazione dei poteri: non ha commentato la sentenza, non ha criticato i magistrati, non ha chiesto alcun trattamento di favore. Si è limitato a verificare le condizioni di sicurezza e di dignità di un ex presidente che, va ricordato, è ancora giuridicamente innocente, essendo in attesa del processo d’appello. La sua condanna non è definitiva, e dunque la detenzione preventiva, imposta dai giudici con il mandato di “esecuzione provvisoria” in attesa di revisione deve rispondere a criteri di equità e di umanità.

Il fatto che Darmanin abbia definito Sarkozy «un amico» è al contrario una forma di trasparenza: la capacità di distinguere tra il piano personale e quello pubblico è la misura della maturità democratica di un dirigente. Un ministro non cessa di essere umano nel momento in cui assume un incarico, e l’espressione di affetto o di compassione non è di per sé un’infrazione etica.

L’impressione generale è che la bufera che sta colpendo Darmanin sia l’ennesimo capitolo di un accanimento politico e giudiziario nei confronti di Sarkozy che diventa un simbolo da abbattere e da umiliare più che come un cittadino in attesa di giudizio. Ciò che distingue lo Stato di diritto da un potere vendicativo è proprio la capacità di garantire dignità anche a chi è accusato e di rispettare la presunzione di innocenza.