La campagna referendaria sarà dura e il rischio di una sconfitta comunque cocente è concreto. Governo e maggioranza non hanno ancora messo a punto una strategia comunicativa precisa ma alcuni punti fermi sono già stati fissati: quelli che Giorgia Meloni ha riassunto nell'intervista al Tg1 rilasciata la sera stessa dell'approvazione della riforma. Il primo punto, il più importante e anche il più irrealizzabile, ordina di evitare ogni politicizzazione estrema dello scontro. Significa prima di tutto sgombrare il campo dall'eventualità di una crisi di governo in caso di sconfitta. Del resto, proprio la necessità di evitare una eccessiva personalizzazione dello scontro ha convinto Giorgia Meloni a cambiare strada in piena corsa, riponendo nel cassetto “la madre di tutte le riforme”, il premierato, per puntare sulla riforma della giustizia, bandiera di Forza Italia che la coinvolge direttamente molto di meno.

Su questo fronte Giorgia può farcela. Comunque vada lei resterà in sella, pur se barcollante in caso di sconfitta. Mantenere al suo posto Carlo Nordio però sarebbe in compenso quasi impossibile e le dimissioni di un ministro chiave come quello della Giustizia ammaccherebbe parecchio la squadra di governo e la sua immagine.

Molto più proibitivo il tentativo di circoscrivere la sfida agli aspetti tecnici della riforma: separazione delle carriere, riforma del Csm, nomine dei consiglieri per sorteggio. La materia è per la stragrande maggioranza degli elettori ostica, difficilmente comprensibile, pochissimo coinvolgente. L'opposizione, che deve chiamare alle urne quanto più possibile i suoi potenziali elettori, non ha alcun interesse a giocarsi la partita su un terreno così arido e destinato a scaldare poco dal punto di vista emotivo. Punterà tutto sulla necessità di frenare una manovra complessiva di cui la riforma verrà indicata come primo passo, quella che mira a eliminare i controlli sull'esecutivo e a svuotare si sostanza il bilanciamento dei poteri. È un tema che con la lettera della riforma ha pochissimo a che vedere. In compenso è in grado di mobilitare l'elettorato ed Elly già lo brandisce: «Vogliono avere le mani libere e ritenersi al di sopra della legge». Volente o nolente la replica non potrà che essere la difesa del diritto del governo a operare senza essere puntualmente bloccato dall'intervento della magistratura, tema già messo automaticamente in campo sia dalla premier che da Nordio. Lo scontro sarà su questo piano molto più che su quello delle “tecnicalità”, è inevitabile che vada così e si tratterà di uno scontro del tutto politico.

Sarà persino più impossibile evitare che il fronteggiamento si configuri come conflitto tra centrodestra e magistratura, dunque oggi come scontro tra il governo, il potere esecutivo, e il potere giudiziario. È lo scenario che preoccupa di più il Colle, il cui intervento è stato probabilmente decisivo per impedire lo scontro diretto tra governo e Corte dei conti. Ma è una deriva alla quale sarà quasi impossibile sottrarsi. La premier è decisa a cercare di evitarlo, sia per non irritare troppo Mattarella, sia perché la reazione dell'elettorato a uno scontro frontale con la magistratura è ancora una minaccia, nonostante il calo di popolarità netto dei togati negli ultimi anni. La consegna, per la maggioranza, è di evitare attacchi diretti contro la magistratura e puntare invece sulla necessità di garantire parità tra le parti nel processo con la separazione e di ridimensionare il potere delle correnti con il sorteggio. Il frontman in questo caso deve essere Nordio, che si è già detto pronto a un confronto televisivo con l'Anm e ha promesso ai togati che comunque i decreti attuativi saranno scritti insieme. Ma con la stragrande maggioranza delle toghe in trincea contro la riforma e l'intero centrodestra più spezzoni vari dell'opposizione a favore sarà praticamente impossibile che il referendum non si profili come ordalia tra due poteri, quello della politica e quello della magistratura, che si fronteggiano da quasi 35 anni.

Un passaggio importante, nel vademecum dei sostenitori della riforma, riguarda l'accusa di voler subordinare il pm all'esecutivo. La Russa, tra i più preoccupati per il responso delle urne, è il più esposto nel negare ogni tentazione del genere, di fronte alla quale, ha assicurato, sarebbe pronto a fare scudo col suo corpo. In realtà la riforma non presuppone affatto un successivo passaggio del genere ma l’argomento è troppo prezioso e utile perché il Fronte del No non lo sfrutti e anche per questa via la sfida referendaria diventerà essenzialmente politica. Alla fine nessuno dei leader abbandonerà comunque il proprio posto. Se sconfitta Giorgia resterà premier, se battuta Elly rimarrà segretaria del Pd. Ma una delle due sarà una regina dimezzata e quale sarà delle due lo decideranno gli elettori.