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AVVOCATO AVVOCATI PUBBLICO MINISTERO TOGA TOGHE AULA TRIBUNALE LA LEGGE E UGUALE PER TUTTI
Adesso che la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministri è arrivata al traguardo legislativo, si intensifica il lancio di strali e bombe-carta da parte della magistratura e dei suoi sostenitori per colpire la riforma. A muoversi è un fronte composto e vede in prima fila naturalmente le toghe rappresentanti nei talk show televisivi e sulla stampa da Pm superstar nella lotta alla criminalità e dai vertici dell'Anm con logori argomenti tirati fuori da polverosi archivi del passato.
E si capisce che tutti i togati sono compatti, quale che sia la loro corrente progressista o moderata, nel convergere su una meta corporativa come l'unione necessaria a tener ferma la forza del potere giudiziario. Insomma, è fin troppo chiaro che gli esponenti della giudicante non vogliono perdere il legame con i colleghi delle Procure che sono le loro sentinelle nei rapporti con la politica e sono capaci di inchiodare anche un uomo del governo solo iscrivendo il suo nome nel registro degli indagati.
Nella opposizione alla riforma c'è però una molla ancor più forte che spinge i magistrati ad esibire il pollice verso. Appare infatti meno disastrosa la separazione tra accusatori e giudici rispetto alla profonda ristrutturazione operata dalle nuove norme legislative con riguardo al Consiglio Superiore della Magistratura. E' qui che viene colpito al cuore l'attuale regime elettivo che lascia spazio allo strapotere delle correnti. Abolirlo introducendo il sorteggio per la scelta dei componenti togati del Csm, come fa la legge appena varata dal Parlamento, significa demolire la ragion d'essere delle correnti il far piombare l'organo di autogoverno all'anno zero delle alchimie di potere. E' per questo che le toghe insistono nel fare barrage contro la separazione delle carriere: il vero obiettivo è bloccare la soppressione del sistema elettivo, cancellato dalla riforma, per quanto attiene alla selezione dei componenti del Csm.
Nella seconda fila dello schieramento unionista si collocano i politici della sinistra che si accodano ai magistrati per contrapporsi ad una svolta che reca la firma della maggioranza di destra. E' una posizione incomprensibile dal punto di vista dei contenuti perché il partito democratico viene da un passato in cui, a cominciare dal codice di procedura penale che ha introdotto il rito accusatorio nel 1988, ha sempre dimostrato di saper stare dalla parte di chi accresce le garanzie dell'imputato nella giustizia penale. Negli anni successivi al ripristino del regime democratico, la cultura politica progressista ha sempre sostenuto le riforme processuali allineate al garantismo costituzionale che hanno scardinato il vecchio impianto del Codice Rocco, anche cancellando la figura ambigua di un pubblico ministero assimilato al giudice per la pienezza dei poteri decisori nella fase istruttoria. Ora, invece, lo strappo. La sinistra, senza argomentare e approfondire, ripudia una riforma che esalta la parità tra accusa e difesa nel processo, come vuole la Costituzione, facendo venir meno l'immagine del pubblico ministero “fratello minore” del giudice e che abita nella stessa casa di quest'ultimo. I democratici si sono lasciati fuorviare dalla firma del ministro Nordio sotto il disegno di legge e dalla linea politica della maggioranza che indubbiamente in più occasioni ha manifestato la sua insofferenza verso il controllo giurisdizionale di legalità. Ma la legge sulle carriere separate non è farina del sacco ministeriale perché riproduce alla lettera un diverso progetto messo a punto dagli avvocati penalisti italiani sulla scia di una risalente aspirazione dei giuristi delle nostre università nella direzione di un pubblico ministero senza maiuscole, come impone il processo accusatorio.
Non si possono infine dimenticare supporter della terza fila. Sono alcuni giornalisti che alzano la voce nei talk show televisivi facendo credere di saper tutto su teoria e prassi della giustizia penale. In realtà ricordano solo quello che hanno appreso in anni giovanili frequentando i corridoi delle aule di udienza come cronisti giudiziari. E così sfoderano argomenti desueti contro le carriere separate, come la necessità di garantire l'imparzialità del pubblico ministero. Sono anni invece che la cultura giuridica del nostro Paese ha archiviato la figura dell'accusatore parte-imparziale. E' un vero bisticcio di parole che racchiude un inganno: quello di far pensare che chi va alla caccia dei colpevoli deve avere di mira la frequentazione del dubbio come chi ha l'obbligo di pronunciare la sentenza. Certo, è bene pretendere la lealtà e la correttezza del pubblico ministero che indaga, senza però trasformarlo in un organo di giustizia apparentato con chi ha le chiavi per l'accertamento della verità.


