Da una parte le forze di maggioranza, il governo e l’avvocatura. Dall’altra parte le opposizioni e l’Anm. È la netta divisione creatasi dopo il varo, in Consiglio dei ministri, della riforma costituzionale della magistratura, imperniata sulla separazione delle carriere.

La premier Giorgia Meloni parla di «riforma giusta, necessaria e storica», il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani di «successo straordinario», il capo della Lega Matteo Salvini rivendica «un’altra promessa mantenuta».

Plauso per il risultato è arrivato dal presidente del Cnf, Francesco Greco: «La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri costituisce un importante passo avanti verso il giusto processo, previsto dall’articolo 111 della Costituzione, perché assicura equidistanza tra accusa e difesa nei confronti del giudice. Inevitabile, dunque, è la previsione dell’istituzione di un Csm giudicante e di uno requirente, perché mantenere un unico organo di autogoverno finirebbe, nel concreto, per vanificare la separazione delle due carriere. Questi passaggi, che concretizzano il principio costituzionale dell'uguaglianza tra accusa e difesa, contribuiranno a rendere chiara la terzietà del giudice e, dunque, a rafforzare la fiducia nel sistema giudiziario».

Il vertice della massima istituzione forense ha quindi aggiunto: «Un processo penale ideale necessita di un pm forte, di un avvocato forte e di un giudice terzo altrettanto forte. Con la separazione delle carriere si passa da una cultura della giurisdizione ristretta ai magistrati a una cultura della legalità comune tra tutte le parti del processo, anche al difensore, e di conseguenza di maggior tutela per i cittadini».

Interpellato dal Dubbio, Greco ha commentato quindi così l’assenza, dal ddl appena varato, del comma sull’avvocato in Costituzione: «Immagino si sia voluto intervenire solo sul riordino della magistratura e che ci sia voluti riservare di definire in un secondo momento anche il ruolo dell’avvocatura».

Secondo Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere penali, «il testo governativo, a una prima lettura, appare conforme alle attese, in quanto segue le fondamentali linee della nostra proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare del 2017», sulla quale i penalisti raccolsero oltre 72mila firme.

Dall’altra parte della barricata, innanzitutto il Pd che, per voce della responsabile Giustizia Debora Serracchiani, attacca: «Più che in presenza di una riforma della giustizia assistiamo a un intervento che, insieme agli altri su autonomia differenziata e premierato, conduce allo smantellamento del sistema istituzionale repubblicano che affonda le radici nella nostra Costituzione». Mentre il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte trova «scandaloso che questa maggioranza, di fronte alle inchieste giudiziarie, anziché mandare via il marcio che c’è nei partiti, i politici corrotti, voglia mettere la mordacchia alla magistratura, separare le carriere, metterle sotto il potere esecutivo e impedire di andare avanti con le inchieste».

La reazione dell’Anm è arrivata addirittura prima ancora che iniziasse il Consiglio dei ministri, quando il presidente Giuseppe Santalucia ha riunito «in via d’urgenza» la Giunta del “sindacato”, che ha deciso di convocare un Comitato direttivo centrale, il cosiddetto parlamentino, per il 15 giugno, aperto anche alle altre magistrature, per assumere iniziative in merito alla riforma.

Nel tardo pomeriggio poi una nota: «La logica di fondo del disegno di legge sulla separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta corte - scrive la Giunta - si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria, responsabile per l’esercizio indipendente delle sue funzioni di controllo di legalità. Gli aspetti allarmanti delle bozze del disegno di legge sono molteplici, leggiamo una riforma ambigua che crea un quadro disarmante. È una riforma – prosegue la nota - che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica, che si realizza essenzialmente con lo svilimento del ruolo e della funzione di rappresentanza elettiva dei togati del Csm e con lo svuotamento delle sue essenziali prerogative disciplinari, affidate a una giurisdizione speciale di nuovo conio».

Secondo le toghe si tratta di «una sconfitta per la giustizia» e si finirebbe per assicurare «più potere alla maggioranza politica di turno, danneggiando innanzitutto i cittadini».

A rilasciare dichiarazioni, tra i gruppi associativi, solo la corrente progressista di Area, prima col segretario Giovanni Zaccaro - per il quale «sorge il dubbio che la riforma non miri a togliere la politica dal Csm ma ad affidare il Csm, e con esso l’indipendenza della magistratura, alla politica dei partiti, privando i cittadini di un presidio fondamentale per il principio di uguaglianza e di divisione dei poteri» - e poi con il componente del direttivo Anm Rocco Maruotti, che si dice«preoccupato dell’introduzione del concetto di “carriera”, che allude a una magistratura gerarchizzata e non distinta solo per “funzioni”», così come della «previsione di due diversi Csm, composti da laici individuati con un sistema misto, elezione e poi sorteggio, mentre per i componenti togati si prevede la sola estrazione a sorte».

David Ermini, ex vicepresidente del Csm, dichiara a sua volta: «L’assalto al Csm e conseguentemente alla autonomia e all’indipendenza della magistratura non si ferma».