L’Anm lo ammette: le degenerazioni correntizie esistono ancora. Lo hanno detto, benché in modi diversi, gli stessi gruppi associativi durante la riunione del “parlamentino” del sindacato delle toghe che si è tenuta a Roma lo scorso fine settimana.

La confessione collettiva ha monopolizzato quasi tutto il dibattito della due giorni: «La degenerazione correntizia, unitamente alla deriva carrieristica, è ciò che avvelena i nostri rapporti, che ci fa perdere di credibilità all’esterno. Si ha degenerazione correntizia tutte le volte che l’appartenenza ad un gruppo soppianta il criterio meritocratico. È sotto gli occhi di tutti che accanto a nomine sacrosante ce ne sono alcune che gridano vendetta», ha dichiarato senza giri di parole l’esponente di Magistratura indipendente Giuseppe Tango.

Ma lo stesso concetto è stato chiaramente espresso anche nei documenti che avevano presentato le altre correnti. Si legge in quello di AreaDg: «È innegabile che il settore delle nomine offra numerosissimi esempi di tale fenomeno», ossia quello delle degenerazioni correntizie nell’esercizio delle funzioni del Csm. In particolare, sul nuovo Testo Unico sulla dirigenza, approvato a dicembre: «Assistiamo oggi alle prime applicazioni di tale delibera, e dunque è ancora presto per dire se, ed in quale modo, essa inciderà sul sistema delle nomine e sul fenomeno del correntismo».

Anche Magistratura democratica, nel suo documento, ha evidenziato come occorra «monitorarne l’applicazione e verificare i risultati, sia in relazione al tipo di dirigenza che avrà prodotto, sia in relazione all’effettivo superamento delle degenerazioni, così da stimolare correttivi e ripensamenti, se opportuni, o continuare sul percorso intrapreso a seconda dei frutti raccolti». Ma non basta perché «la vigilanza dell’Anm e il controllo sociale della base deve essere costante e riguardare ogni aspetto del governo autonomo, partendo dalle realtà territoriali», cioè i Consigli giudiziari chiamati ad assicurare più «trasparenza e pubblicità». Addirittura Unicost, la corrente che fu dello scomunicato Luca Palamara, ha proposto l’istituzione di una «apposita commissione denominata “Commissione per il rinnovamento dell’impegno associativo e istituzionale”». Idea respinta dalle altre correnti.

Durante il pomeriggio di sabato, tutti i gruppi associativi, tranne quello dei CentoUno, hanno deciso di mettersi a tavolino e produrre un documento unico che è stato poi partorito la domenica mattina, per cui la cura è apparsa più blanda rispetto alla diagnosi fatta il giorno precedente. La necessità è stata sempre la stessa: non appare divisi, soprattutto su un tema che potrebbe essere visto come un autogol. «Riteniamo che la magistratura non sia rimasta inerte, avendo intrapreso un percorso di rinnovamento», si scrive nel documento approvato a maggioranza, ciononostante «siamo consapevoli che il cammino è ancora lungo».

Non hanno partecipato al documento i rappresentanti del gruppo dei CentoUno, Andrea Reale e Natalia Ceccarelli, che hanno presentato una mozione contro il correntismo, respinta con 17 voti contrari e 2 favorevoli. «Quello approvato dagli altri gruppi è un documento della Restaurazione e totalmente negazionista, perché non cita neanche il Csm e l’occupazione correntizia dell’organo di governo autonomo. Non indica alcuna efficace proposta di autoriforma per evitare che il fenomeno si perpetui. Confonde responsabilità di singoli, inidonee a fare carriera da soli, alle responsabilità collettive dei gruppi, che spingono i loro verso le più fulgide carriere, a prescindere dal merito. Soltanto il sorteggio per i componenti del Csm e la rotazione negli incarichi direttivi possono tentare di debellare il Sistema, ancora purtroppo esistente, dentro il Consiglio superiore».

Chiaramente tutte queste prese di posizione sono state assunte per lanciare un messaggio alla politica: «Anche noi magistrati siamo in grado di effettuare una riflessione interna sul correntismo e siamo capaci pure di proporre delle soluzioni, diverse però da quelle pensate dalla maggioranza parlamentare e dal governo, come l’Alta Corte disciplinare, che è solo punitiva». Tuttavia, per una eterogenesi dei fini, quello che però è venuto fuori è una presa d’atto del fatto che la magistratura ha sì iniziato un percorso di cambiamento dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne, ma ancora c’è molto da fare.

Tutta la discussione del Comitato direttivo centrale dell’Anm, da un punto di vista quantomeno esterno, non giova all’immagine delle toghe, proprio in un momento in cui dovrebbero apparire senza macchia agli occhi dei cittadini in vista del referendum costituzionale sulla separazione delle carriere. Tanto è vero che lo stesso segretario generale, Rocco Maruotti, ad un certo punto ha cercato di salvare l’apparenza: «Bisognerebbe fare un’azione di igiene del linguaggio. Parlare di degenerazione correntizia, consapevoli che l’Anm si è sforzata in questi anni di recuperare fiducia, non ci fa gioco». Altresì per il vice segretario Stefano Celli sarebbe meglio «se riuscissimo ad evitare, almeno come primo messaggio, di essere noi stessi a dire che “non siamo una cosa cattiva”. Dire “non siamo così cattivi come ci dipingono” è un modo per far venire il dubbio anche a quelli che non ce l’hanno».