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BRUNO NASCIMBENE DOCENTE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MILANO
L’ordinanza del presidente della Corte di Giustizia dell’Unione europea C- 865/ 2024 del 1° agosto scorso è stata definita da più parti molto innovativa. Il giudice di Lussemburgo ha stabilito che gli Ordini degli avvocati, in quanto considerati enti rappresentativi della categoria, possono intervenire nei procedimenti europei, se sono sollevate questioni di principio tali da avere ripercussioni sugli interessi generali degli Ordini stessi anche quando la sentenza non incide direttamente sulla loro posizione giuridica o non apporta modifiche all’associazione professionale.
È la prima volta che, con una valutazione approfondita del ruolo degli Ordini, viene attribuita rilevanza agli avvocati nella rappresentanza istituzionale della professione forense con una tutela rafforzata nell’ambito degli interessi collettivi dei legali. Sullo sfondo del provvedimento un evento che è entrato nei libri di storia con ripercussioni su più versanti: la guerra di aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. La versione italiana dell’ordinanza non è stata ancora pubblicata, ma il contenuto in lingua francese rende lo stesso l’idea in merito a quanto stabilito dal presidente della Corte di Giustizia, Koen Lenaerts.
Tutto ha inizio con il ricorso presentato da alcuni Ordini degli avvocati, compresi quelli di Francia e Belgio, con l’aggiunta dell’Ordine tedesco attraverso una domanda di intervento, per l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 2 ottobre 2024 ( T- 797/ 22). Quest’ultimo Tribunale aveva respinto la richiesta di annullamento dell’articolo 1, paragrafo 12, del regolamento Ue 2022/ 1904 del Consiglio del 6 ottobre 2022, che modifica il regolamento Ue n. 833/ 2014, concernente le misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia contro l’Ucraina per quanto riguarda i servizi di consulenza legale.
Il provvedimento di un mese fa ha evidenziato che la richiesta di intervento in un procedimento da parte di una associazione professionale rappresentativa va accolta. «Secondo una giurisprudenza costante – scrive il presidente della Corte di Giustizia dell’Unione europea -, la nozione di “interesse alla soluzione di una controversia” deve essere definita in relazione all’oggetto della controversia e intesa come un interesse diretto e attuale e non come un interesse ai motivi o agli argomenti dedotti. Infatti, la locuzione “soluzione della controversia” si riferisce alla decisione finale richiesta, così come sarebbe sancita nel dispositivo della sentenza o dell’ordinanza da pronunciare». Sull’interesse diretto, ha chiarito il giudice Lenaerts «occorre, in particolare, verificare se il richiedente l’intervento sia direttamente interessato dall’atto impugnato e se il suo interesse alla soluzione della controversia sia certo». «Tuttavia – ha aggiunto il presidente della Corte di Giustizia -, in linea di principio, un interesse alla soluzione della controversia può essere considerato sufficientemente diretto solo nella misura in cui tale soluzione sia idonea a modificare la situazione giuridica del richiedente l’autorizzazione a intervenire».
Dalla giurisprudenza costante richiamata dalla Corte di Giustizia Ue emerge però che «un’associazione professionale rappresentativa, il cui scopo è tutelare gli interessi dei suoi membri, può essere autorizzata a intervenire quando la controversia solleva questioni di principio che possono incidere su tali interessi». Pertanto, ha osservato ancora il presidente Lenaerts, il requisito secondo cui una associazione professionale deve avere un interesse diretto e attuale alla soluzione della controversia va «considerato soddisfatto quando tale associazione dimostra di trovarsi in una situazione del genere, indipendentemente dal fatto che la soluzione della controversia possa modificare la situazione giuridica dell’associazione in quanto tale».
Il professore Bruno Nascimbene, emerito di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli Studi di Milano, già ordinario di diritto internazionale nell’Università di Genova e curatore del volume “Corti europee e regole del processo” ( Pacini giuridica), sottolinea un primo elemento dell’ordinanza del presidente della Corte Ue, vale a dire il ribaltamento del giudizio del Tribunale. «In secondo luogo – dice al Dubbio Nascimbene -, l’ordinanza fornisce un’interpretazione molto ampia del diritto di intervento a favore di associazioni professionali rappresentative. Privilegia, insomma, la difesa di interessi collettivi dei membri dell’associazione, in particolare quando si tratta di affrontare questioni di principio. Interesse diffuso, “pubblico”, non “privato”».
Infine, l’accademico e avvocato del Foro di Milano si sofferma sul fatto che la Corte di Giustizia Ue ha, sotto certi versi, chiarito il quadro della situazione. «L’ordinanza – commenta Nascimbene - evidenzia criteri di carattere generale, e altro non poteva fare in presenza di discipline nazionali organizzative delle associazioni professionali, che variano da un Paese membro all’altro. Un’occasione, questa, che si è presentata in Corte per ribadire la necessità di affrontare e risolvere questioni di principio relative alle condizioni di esercizio della professione di avvocato su tutto il territorio dell’Unione europea».