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C’è un allarme giustizia: a sostenerlo è stato ieri il Partito democratico, in una conferenza stampa che già dal titolo, “La giustizia in ginocchio ai tempi della destra”, si annunciava come un attacco alle politiche della maggioranza e del governo, a partire dal dossier prescrizione.
Le riforme approvate nella scorsa legislatura funzionano, hanno detto i parlamentari dem Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del partito, i capigruppo nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato Federico Gianassi e Alfredo Bazoli, il capogruppo in commissione Antimafia Walter Verini e la vicepresidente del Senato Anna Rossomando. Il riferimento è a una tabella dati dello stesso ministero della Giustizia, illustrata da Bazoli: «Le statistiche sono clamorose, perché ci dicono che rispetto al problema numero uno della giustizia italiana, cioè l’efficienza e la durata dei processi, le riforme fatte nella scorsa legislatura stanno producendo effetti straordinari. Secondo i dati del ministero della Giustizia, che sono passati sottotraccia, risulta al momento che, considerato il 2019 come punto di riferimento, il processo penale in Italia ha ridotto i tempi di quasi il 30%, e la variazione più significativa si è avuta nel primo semestre di quest’anno», ossia dall’entrata in vigore della riforma Cartabia.
Occorre ricordare, ha detto ancora Bazoli, che «il Pnrr assegna all’Italia l’obiettivo di ridurre i tempi del 25% entro il 2026: quindi stiamo facendo addirittura meglio». Riguardo al settore civile, «i processi si sono ridotti del 20%, qui non abbiamo raggiunto il target che è 40%, ma siamo già a metà». Come ha ribadito Serracchiani, «la riforma sull’improcedibilità sta funzionando e i dati sono inequivocabili. E se si sono raggiunti questi numeri è sicuramente per la credibile riorganizzazione e per la capacità che hanno avuto i magistrati: voglio precisare che non è scattata neanche una improcedibilità, ovviamente perché è troppo presto. E allora, se è stato raggiunto l’obiettivo prefissato da Italia e Unione europea per ottenere i fondi del Pnrr, perché dobbiamo metterlo in discussione?».
Anche Gianassi si è detto convinto che la riforma del 2021 stia producendo «dati positivi, e significativi. Ma alla mentalità scientifica si preferisce», secondo il capogruppo Giustizia del Pd a Montecitorio, «il furore ideologico». Ma perché dire no al ritorno alla Orlando? La risposta l’ha fornita sempre Serracchiani: a destra «non sbandierino in modo inappropriato il nome del ministro Orlando, perché la riforma del 2017 è stata un’ ottima riforma avversata da coloro che oggi utilizzano impropriamente quel nome. Oggi siamo nel 2023 e c’è il Pnrr da rispettare: non facciano finta di non sapere che il Piano richiede il rispetto di quei numeri che abbiamo già abbondantemente raggiunto, quindi perché tornare indietro?».
I rappresentanti del Pd hanno quindi rivolto un appello alla premier Meloni e al ministro Fitto: «Viste le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi del Pnrr, perché si vuole intervenire proprio lì dove abbiamo già raggiunto risultati?». Poi è intervenuta la vicepresidente del Senato Rossomando: «Questo governo di destra continua a parlare di riforme della Giustizia, ma siamo in presenza di archeologia giudiziaria perché vengono ripescati elementi di polemica del passato. Le riforme che abbiamo approvato nella scorsa legislatura avevano delle cifre, soprattutto quella del processo penale puntava su tempi ragionevoli del processo e potenziamento delle garanzie, con attenzione al tema della pena, che non può e non deve essere solo carceraria. Questo ministro invece, che tutti i giorni si autodefinisce liberale e garantista, è alla bancarotta e al fallimento: non viene fatto niente e gli interventi fatti sono contraddittori. Nel cosiddetto ddl Nordio, ad esempio, si propone il collegio cautelare che sarà applicato non si capisce quando, perché non ci sono magistrati disponibili né risorse. Non c’è una direzione delle riforme, solo interventi spot. Si vuole solo riaccendere il conflitto tra politica e magistratura, che non fa fare un passo avanti. E poi si illudono che con provvedimenti ispirati al populismo giudiziario si riesca a suscitare consenso a buon mercato. Noi siamo per le riforme: per continuare a farle e per difendere quelle che sono state fatte».
A proposito di rapporti tra politica e magistratura, abbiamo chiesto ai rappresentanti dem se confidano che il ministro Salvini venga in Parlamento a rispondere in merito al video postato lo scorso 5 ottobre in cui compare Iolanda Apostolico, la giudice del Tribunale di Catania che non ha convalidato il trattenimento nel Cpr di Pozzallo di migranti tunisini sbarcati a Lampedusa. La domanda nasce dal fatto che, fino ad ora, dinanzi a tutti gli atti di sindacato ispettivo proposti in materia né i sottosegretari né lo stesso ministro Piantedosi hanno fornito risposte esaurienti. «La speranza è l’ultima a morire – ci ha risposto Serracchiani – purtroppo le interrogazioni non hanno un tempo perentorio per la risposta. Però riteniamo che per questo caso sia utile e opportuno che un ministro nella posizione di Salvini risponda su una vicenda del tutto inusuale e anomala per come si è svolta. Noi abbiamo presentato delle interrogazioni perché convinti che un attacco della politica alla funzione giudiziaria non solo non serva ma sia pericoloso, e penso a regimi come l’Ungheria».