«L’asserito esercizio del diritto di critica si è in verità trasformato in un'aggressione ingiustificata della reputazione dell’attore». A scriverlo è il Tribunale civile di Torino, che ha condannato nuovamente Selvaggia Lucarelli per aver diffamato lo psicoterapeuta Claudio Foti in cinque articoli pubblicati su “Il Fatto Quotidiano”, tra il 2019 e il 2020, nell’ambito dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Insieme a lei, sono stati ritenuti responsabili anche i direttori Marco Travaglio e Peter Gomez e la Società Editoriale Il Fatto. Connessioni «forzate e pretestuose» anche con l’inserimento di «fatti falsi»: la sentenza è netta. I convenuti sono stati dunque condannati al risarcimento di 65.000 euro a favore di Foti, oltre a 15.000 euro di sanzione pecuniaria per la sola Lucarelli. Il tribunale ha inoltre ordinato la rimozione dal sito web di cinque articoli giudicati diffamatori.

Stando alla sentenza firmata dalla giudice, Lucarelli «ha del tutto ecceduto l’obiettivo di approfondimento critico in ordine al “metodo Foti” (che esiste, ma non come “metodo criminale”, bensì come banale metodologia di lavoro, senza che ciò assuma una connotazione negativa, come dimostrato anche dalle sentenze passate in giudicato) e alla sua possibile rilevanza in vicende processuali passate. Invero, ha dato ai lettori la notizia di una connessione certa “caso Sestu-metodo Foti-suicidio di Agnese Usai”», ovvero la bidella suicida dopo essere stata accusata di abusi, «non spiegando in alcun modo se e come il “metodo Foti” sarebbe venuto in questione nel caso esaminato, ma creando tale suggestione nel lettore mediante l’utilizzo di altri elementi (i rapporti professionali tra le professioniste citate nell’articolo e il lettore) o l’inserendo fatti radicalmente falsi». Foti, infatti, non c’entrava nulla con quella vicenda, come con altre, della quale, peraltro, ha appreso solo dopo essere stato accusato per il suicidio della donna.

Un corretto approccio critico, secondo la sentenza, «pur nella sovrabbondanza delle forme, avrebbe imposto alla giornalista, in assenza di prova della connessione di cui si è detto e a fronte della certa estraneità del Foti dalla vicenda giudiziaria in questione, di esporre la notizia fermandosi al racconto dei dati a disposizione (i collegamenti professionali di cui si è detto), chiarendo l’estraneità del Foti alla vicenda giudiziaria sotto esame e esponendo in chiave dubitativa la possibile rilevanza del metodo di quest’ultimo anche nel caso (e non nel suicidio) di Sestu».

Altro caso quello del suicidio di massa di Sagliano Micca, dove un’intera famiglia, accusata di abusi sui figli, si tolse la vita. Nel suo articolo, Lucarelli ricordò il ruolo Foti come consulente della procura, ruolo in virtù del quale inviò un fax, datato 11 luglio 1995, marcato “urgentissimo”, contenente una piantina dell’immobile indicato dal minore come luogo degli abusi subiti. La botola non fu però mai ritrovata. Poco tempo dopo, a ridosso di un’udienza, la famiglia si tolse la vita. Secondo il Tribunale di Torino, colpa di Lucarelli è quella di aver presentato questi fatti in modo «suggestivo», tale da far apparire una correlazione diretta tra l’invio del fax da parte di Foti, l’errore giudiziario (non provato) e il tragico epilogo della famiglia Ferraro. Secondo il giudice, tale effetto è stato ottenuto mediante l’accostamento temporale e narrativo dei fatti. Sebbene nella frase il suicidio sia esplicitamente ricondotto alle “accuse” del minore (che ancora oggi conferma quegli abusi, peraltro), Lucarelli avrebbe scelto consapevolmente di collocare la notizia del suicidio dopo il racconto del fax, creando così «l’effetto connessione fax-suicidio». Tale connessione, sottolinea la sentenza, «nella realtà non è provata», come non è provato l’errore giudiziario, dal momento che «il suicidio degli indagati ha impedito la prosecuzione del processo».

La giornalista, quindi, non avrebbe espresso chiaramente la natura di opinione personale della correlazione ipotizzata, ma l’avrebbe sottintesa come fatto, violando il dovere di distinguere «tra cronaca e critica, tra fatto reale e opinione», come richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Lucarelli, dunque, «ha ecceduto nella critica», suggerendo in modo improprio e lesivo una responsabilità morale diretta del Foti nella tragedia familiare. Infine, la sentenza rileva come l’associazione tra una persona e un suicidio, specie in assenza di un’accusa formale o di una sentenza, comporti un danno evidente alla reputazione.

Altra vicenda quella in cui Foti viene ridicolizzato attraverso un episodio specifico, divenuto titolo dell’articolo: «Chissà se sanno che per provare gli abusi sessuali ai danni di un bambino, Claudio Foti individuò nel disegno del minore la chiara, minacciosa raffigurazione di “un pene con dei denti”. [...] L’avvocato dell’uomo accusato ingiustamente [...] spiegò al giudice che quel “pene dentato” era invece Goku, un personaggio del cartone animato Dragon Ball».

Secondo la sentenza, l’inserimento di questo episodio già nel titolo orienta il lettore verso un’idea di incompetenza ridicola, presentando l’intero operato professionale di Foti come grottesco e screditabile. Nell’articolo, Lucarelli affermava che le perizie di Foti avrebbero condizionato 25 processi. Tali circostanze, però, «non sono provate né documentate». Ma non solo: l’articolo non parte da «un nucleo di verità», come richiesto dalla giurisprudenza sul diritto di critica: l’interpretazione del disegno del bambino è presentata come una colpa personale, quando in realtà si tratta di una diversa lettura avanzata dalla difesa dell’imputato, poi assolto, e non esiste una sentenza che smentisca ufficialmente Foti. Insomma, Lucarelli avrebbe manipolato gli elementi «al solo fine di screditare l’attore e di ridicolizzare e svilire il suo modo di lavorare, con modalità che va ben oltre il limite consentito dal diritto di critica». Foti è stato rappresentato «come un professionista che interpreta le dichiarazioni/disegni di minori abusati al solo fine di sostenere un’accusa. Trattasi di affermazione che, tuttavia, non muove da un nucleo di verità, poiché non provato. I convenuti avrebbero, invero dovuto fornire elementi per ritenere che il Foti rendesse pareri medici al precipuo scopo di fornire prove d’accusa nei confronti di soggetti poi risultati innocenti. Ma nulla in tal senso è emerso nel presente giudizio».

«La condanna di Selvaggia Lucarelli e Marco Travaglio per aver diffamato ripetutamente e pervicacemente Claudio Foti con ben cinque articoli a firma di Lucarelli pubblicati su Il Fatto in un anno è un atto di giustizia e una conquista di civiltà: l'informazione non può trasformarsi in gogna, e il diritto di critica non può diventare pretesto per perseguitare chi è solo un indagato, ossia un presunto innocente. Claudio Foti è stato trasformato in un colpevole e in un mostro senza prove, per pura speculazione – ha commentato il legale di Foti, Luca Bauccio – . Il Tribunale di Tonino ha riconosciuto la responsabilità di Lucarelli per aver attribuito nei suoi articoli a Claudio Foti fatti inesistenti e responsabilità senza fondamento addirittura per suicidi di imputati senza verifiche e senza riuscire a provarne la verità. A nessuno dev'essere consentito ergersi a giudice di cittadini, e Lucarelli non è al di sopra di questa regola. I processi mediatici e le lapidazioni della folla, come è accaduto a Claudio Foti, non sono degni di un Paese civile. Questa condanna è l'ennesima riprova che attorno a Bibbiano in tanti si siano mossi come avvoltoi a caccia di vantaggi di notorietà e di voti, dai politici a certi influencer che hanno accesso alle pagine più importanti dei giornali senza che nessuno controlli e una verifichi quello che scrivono. L'informazione deve rispettare la realtà e deve farsi carico del rispetto delle persone. Non basta essere indagati per essere trasformati in mostri. Bibbiano è stato un pretesto per speculazioni che nulla avevano a che fare con la tutela dei minori e delle loro famiglie. Finora, infatti, abbiamo raccolto assoluzioni. Selvaggia Lucarelli ne prenda atto e chieda scusa a Claudio Foti per la sua spietata gogna anziché rilanciare le sue accuse e pretendere di accreditarsi come la padrona della verità e della reputazione delle persone. Noi andremo avanti perché la verità su quegli anni terribili venga del tutto a galla».