«Al dottor Monopoli, che sicuramente non ha nessuna pretesa di essere un angelo. Il termine demone in quest’Aula, in un’ala di giustizia, non ha cittadinanza. Gli angeli e i demoni li lasciamo ai media, li lasciamo ai cortei che brandivano le fiaccole e che gridavano “parlateci di Bibbiano”. Gli anni di gogna non si cancellano, il dolore non si cancella. Questo processo ha avuto un costo personale, sociale, economico. Intercettazioni, migliaia di pagine, udienze, centinaia di testi. E su questo costo sono sicuro che ci interrogheremo a lungo. Ma non voglio essere emotivo. Qui per fortuna giudichiamo i reati e per fortuna, ma non avevamo nessun dubbio: di reati qui non ce ne sono. Non solo perché manca la prova della colpevolezza, ma al contrario, perché sono troppe le prove dell’innocenza. E per questo il dottor Francesco Monopoli deve essere assolto da tutti i capi di imputazione». Si è chiusa così oggi, con le parole dell’avvocato Giuseppe Sambataro, l’arringa dei difensori dell’assistente sociale Monopoli, uno dei principali imputati del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Per lui la pm Valentina Salvi ha chiesto una condanna a 11 anni e mezzo, richiesta pesantissima e non supportata da alcun elemento, secondo la difesa.

La difesa di Monopoli: «Semplificata la complessità»

«Di Bibbiano abbiamo parlato tantissimo, siamo stanchi tutti e quindi basta, lasciamole lì quelle semplificazioni, che ci allontanano dalla complessità - ha evidenziato Sambataro, che ha difeso Monopoli insieme a Nicola Canestrini -. E la complessità è il campo in cui si muove l’assistente sociale. Perché altrimenti a cosa serve questo lavoro se non per le valutazioni difficili, per le valutazioni scomode e per le valutazioni che riguardano non gli angeli e i demoni, non il bianco e nero, ma le zone grigie? Perché questo facevano, questo dovrebbero fare gli operatori sociali, dirci che i genitori non fanno aprioristicamente - questa volta sì - la cosa giusta, non sono aprioristicamente tutelanti, un regalo dei genitori non è aprioristicamente idoneo, non lo è sempre. Un incontro con la mamma e il papà non fa aprioristicamente bene. Capisco se è difficile accettarlo, ma se rifugiamo le semplificazioni e entriamo nella complessità, vedremo che è così».

Il caso di N. e la segnalazione della scuola

L’ultima giornata di arringa della difesa Monopoli si è concentrata sul caso forse più complesso, quello di N., bambino che aveva raccontato a scuola di possibili abusi in famiglia. Era stata appunto la scuola a segnalare il caso ai servizi, sottolineando come il minore fosse «frequentemente protagonista di giochi di masturbazione verso se stesso o con un amico», giochi che, aveva spiegato il bambino alle maestre, «faceva con il fratello quando andavano a letto». La segnalazione risaliva a dicembre 2014, prima che Monopoli subentrasse nel caso.

In quella relazione della scuola il bambino veniva definito aggressivo, con problemi di linguaggio e di controllo sfinterico, nonché di contenimento emotivo. E si parlava anche di comportamenti imitatori, «un tema molto caro alla procura», che più volte ha ricondotto quegli atteggiamenti ad una emulazione dei compagni. «In effetti la segnalazione parla di comportamenti imitatori - ha aggiunto Sambataro, - ma solamente rispetto all’ipercinetismo, all’aggressività, alla rabbia. A questo si limita l’emulazione». Nessun altro tipo di imitazione nella relazione della scuola, che invece, raccontando i colloqui con i genitori, evidenziava come gli stessi si dimostrassero «a tratti poco propensi all’ascolto», segnalando dunque «una situazione di forte preoccupazione per condotte che, nonostante la procura neghi, poi si ripeteranno anche una volta che il minore sarà in affido».

La violazione della disposizione del Tribunale dei Minori

Fu il Tribunale per i Minori ad affidare, a maggio 2015, il bambino ai servizi affinché venisse valutata l’idoneità genitoriale e delle risorse parentali, sospendendo i rapporti con il fratellastro. Ciononostante, i genitori decisero di portarli insieme in campeggio per circa una settimana, violando dunque una disposizione dell’autorità giudiziaria «adottata a tutela di un minore». Una «pessima idea» quella della gita, aveva detto in aula, forse ironicamente, la pm. «Ecco, io penso che non può che essere una pessima idea, che non ha come priorità il benessere del minore, tanto è vero che a seguito di questa pessima idea il Tribunale disponeva l’affido extrafamiliare con incontri dei genitori in forma protetta».

Una volta in affido, il minore riferiva agli affidatari episodi connotati sessualmente che avrebbero riguardato il patrigno e faceva anche dei rivelati anche sulle condotte sessualizzate asseritamente tenute dalla madre in sua presenza. E questo si legge in una relazione del servizio nell’agosto 2017 appunto, momento in cui il dottor Monopoli non era ancora sul caso. Ciononostante, per la pm Salvi questo sarebbe «il caso più emblematico di questo processo, in quanto il nucleo familiare era privo di fragilità, mai attenzionata prima di allora dai servizi e anche quando è stata attenzionata» per gli altri figli «questi due genitori sono risultati assolutamente adeguati». Basterebbe già questo passaggio, secondo Sambataro, «a farci capire cosa non funziona in questa ipotesi accusatoria. Perché nella ricostruzione dell’accusa, N. sarebbe uno di quei minori vittima della fantomatica setta. Ma come può essere che il servizio credesse che i genitori fossero coinvolti nella setta e poi però i provvedimenti di tutela vengono adottati in un modo per N. e in modi differenti rispetto agli altri minori?».

La «fragilità genitoriale» 

Ma non solo: anche la psicologa della neuropsichiatria infantile aveva proposto alla famiglia un percorso di supporto alle competenze genitoriali, sintomo di «una fragilità genitoriale che, al contrario di quanto afferma il pm, era presente». La stessa psicologa ha parlato di «incoerenze educative nella gestione delle richieste del bambino», che «dicono molto sull’ambiente in cui il bambino veniva cresciuto», ha aggiunto Sambataro. Genitori che per la scuola sembravano «affettivamente poco preoccupati, ed emotivamente poco protettivi e contenitivi nei confronti di N.». Da qui la segnalazione al servizio, che «non arriva dal nulla: è il risultato di un’interazione tra più soggetti». Tra le quali, appunto, la psicologa, secondo cui i sintomi di N. potevano essere interpretati come potenziali indicatori di maltrattamento o abuso, da approfondire.

Gli affidatari, durante il periodo di affido, hanno evidenziato un miglioramento delle condizioni del minore, che aveva acquisito una maggiore capacità di esprimersi, sia con la psicologa che con gli affidatari. Ma la madre affidataria sarebbe un teste inattendibile: se nel 2016 affermava di aver visto atteggiamenti sessualizzati in N., nel 2018 ha dichiarato di non averne mai osservati, ricordandosene di nuovo nel 2019 per poi negare in aula, almeno fino al controesame che ha contestato i suoi stessi messaggi e vocali, con i quali segnalava alla psicoterapeuta Nadia Bolognini e ai servizi sociali, ad esempio, tutti gli atteggiamenti sessualizzati che destavano preoccupazione.

L’affidataria, come se non bastasse, aveva riferito delle condotte sessualizzate anche con la consulente dell’accusa, salvo negare proprio, in aula, di averla mai incontrata. Le versioni della teste hanno subito modifiche dopo gli arresti, nelle sommarie informazioni testimoniali, quando dichiarò che gli episodi sarebbero scomparsi solo dopo il rientro in famiglia di N.. «Come faccia a sapere come stesse il minore a casa, non lo sapremo mai», ha commentato Sambataro.

Per la pm il bambino era un «bugiardo»

Ma c’è di più. Per la pm il minore sarebbe un bugiardo. «Anche quando piangeva, quando urlava, quando si metteva dietro l’affidataria spingendo avanti e indietro mimando l’atto sessuale fino a farla vomitare… anche lì mentiva? - si è chiesto Sambataro - Anzi: recitava, performava? Tutto questo dovrebbe farci ritenere che il servizio avrebbe dovuto riconoscere quell’attitudine menzognera, e per questo archiviare il fascicolo, ignorando tutti i segnali di preoccupazione?». Ma la stessa affidataria ha parlato di un’unica bugia relativa ai compiti, nulla più. Perché «non era un bambino che inventava storie o racconti». Il servizio, però, per la pm avrebbe dovuto «ritenerlo bugiardo. E quindi – per osmosi – ritenere bugiarde anche, evidentemente, le insegnanti della scuola, le figure professionali della neuropsichiatria».

L'accusa di peculato: «La prova di un’accusa debole»

Sambataro ha esplorato le accuse capo per capo, smentendo qualsiasi falsità - atti alla mano - e sottolineando, tra le altre cose, l’assurdità dell’accusa di peculato. Un capo d’imputazione che «rivela la debolezza dell’impianto accusatorio». La vicenda riguarda l’uso dell’auto del servizio da parte di Monopoli per accompagnare una minore in comunità. «Un dipendente chiede autorizzazione alla propria responsabile per rientrare a casa con l’auto di servizio, perché è in straordinario e c’è stato un incidente - spiega Sambataro -. In che mondo si può parlare di peculato quando si chiede e ottiene un’autorizzazione formale dal proprio superiore?».

Il tutto dopo cinque ore di straordinario. «Monopoli lavorava: non stava dormendo in ufficio, non era a casa. Anzi, quel giorno era previsto un incontro protetto. Nessun cartellino da timbrare, perché c’era un’urgenza: il minore doveva essere accompagnato. E allora, qual era l’interesse privato? Quale utilità avrebbe ricavato? Nessuna utilità personale, ma una scelta efficiente: evitare di far rientrare l’auto e ripartire da capo, allungando i tempi e i costi per l’ente. L’accusa, naturalmente, non prova alcun danno economico né disfunzione del servizio, come invece la giurisprudenza richiede». Insomma, un processo senza prove e, soprattutto, «senza reati».