Difendere non è reato. Dice questo la sentenza che blinda il diritto di difesa e smantella il caso Pifferi bis, l'inchiesta parallela che vedeva sul banco degli imputati l’avvocata Alessia Pontenani, il suo consulente, lo psichiatra Marco Garbarini, e le psicologhe di San Vittore.

Il Gup di Milano, Roberto Crepaldi, ha assolto tutti gli imputati dall'accusa di falso e favoreggiamento, stabilendo che la strategia difensiva – compresi i contestati test sul QI di Alessia Pifferi – non era una manipolazione criminale, ma l'esercizio di una funzione. Il verdetto suona come un monito chiaro nel complesso dibattito tra accusa e avvocatura: l’eccesso di difesa non esiste in Costituzione. L’inchiesta, voluta dal pm Francesco De Tommasi, si è dunque risolta in un nulla di fatto, ma non prima di aver creato, secondo le difese del processo, un «danno gravissimo» all'interno del processo principale.

L’inchiesta era nata come costola del processo per la morte della piccola Diana, lasciata a casa da sola dalla madre Alessia Pifferi e morta di stenti dopo sei giorni, che si è chiuso in appello con una condanna a 24 anni, dopo una prima condanna all’ergastolo. Secondo il pm Francesco de Tommasi, che rappresenta l’accusa in entrambi i tronconi, Pontenani, il suo consulente e le psicologhe di San Vittore avrebbero messo in atto una manipolazione per far passare Pifferi per matta, attraverso dei test che ne avrebbero accertato un Quoziente intellettivo pari a 40, quello di un bambino.

Per De Tommasi, però, il test Wais non poteva essere somministrato alla donna, in quanto «non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata». Da qui l’ipotesi che fosse una strategia per ottenere «la tanto agognata perizia psichiatrica» e tentare di evitare l’ergastolo. Il pm aveva chiesto una condanna a 4 anni per Pontenani e per una delle ex psicologhe, 3 anni e mezzo per lo psichiatra e tre anni per altre due psicologhe. Ma il gup ha deciso che l’accusa non stava in piedi. Rinviata a giudizio, ma solo per falso in relazione a dei corsi di formazione, accusa estranea alla presunta manipolazione, una delle psicologhe. Le motivazioni saranno depositate entro 30 giorni.

«Adesso sto meglio - spiega al Dubbio Pontenani -. Avessi preso anche un giorno di condanna non avrei più potuto lavorare. Questa sentenza ha stabilito che il diritto di difesa non è reato e che non esiste il reato di eccesso di difesa, visto che di questo ero accusata. Gli avvocati devono continuare a fare il loro lavoro e ad aiutare e assistere le persone. Tutto qua. E questa sentenza dimostra che ho fatto il mio lavoro in maniera corretta». Per Pontenani, il processo parallelo ha condizionato anche quello principale a carico di Pifferi. «Se non ci fosse stata questa indagine - ha evidenziato - forse Pifferi avrebbe potuto avere una condanna diversa, però va bene così. Aspettiamo entrambe le motivazioni».

Non bastava che per l’opinione pubblica ci fosse un mostro: ne serviva anche un altro, la sua legale, alla quale, come da prassi, è stata estesa la responsabilità in capo alla sua assistita. E per Corrado Limentani, difensore di Pontenani insieme a Gianluigi Comunello, proprio il processo bis ha rappresentato l’aspetto più grave della vicenda, in quanto «ha condizionato inevitabilmente il processo principale. Questo ha creato danni gravissimi. Ha obbligato il consulente» di Pifferi, Garbarini, «a rinunciare al mandato, le psicologhe hanno perso il lavoro l’avvocato Pontenani ha dovuto difendere» la sua assistita in appello «con una richiesta di condanna sulle spalle».

Soddisfatti anche gli altri legali. «È una sentenza giusta, che noi ci aspettavamo. È un processo che non doveva nemmeno iniziare - ha aggiunto Mirko Mazzali, legale di una psicologa -. Come abbiamo sempre detto stavano processando le idee più che i fatti». «Raccogliamo una sentenza che restituisce ai professionisti il diritto di decidere come valutare un caso secondo scienza e coscienza», ha sottolineato Adriano Bazzoni, pure lui difensore di una delle professioniste. Alcune delle quali, dopo la lettura del dispositivo, sono scoppiate in un pianto liberatorio.

La vicenda aveva causato notevoli scontri nell’ambiente giudiziario milanese. Non solo tra avvocatura e magistratura, ma anche all’interno della magistratura stessa, col tentativo, andato a vuoto, di far astenere il gup Crepaldi. Per De Tommasi, infatti, il giudice non sarebbe stato abbastanza “terzo” da poter giudicare l’avvocata Pontenani e tutti gli altri professionisti indagati, per aver contribuito — da membro della Giunta Anm di Milano — a un comunicato a tutela della funzione difensiva, diffuso il 13 febbraio 2024. Per de Tommasi si sarebbe trattato di pubbliche critiche all’azione della procura e «sulla piena legittimità e correttezza delle indagini».

Ma non solo: per il pm, nei giorni scorsi, è anche arrivata la bocciatura del Consiglio giudiziario, che all'unanimità ha espresso parere negativo al suo avanzamento di carriera. Quasi un pro forma, nella stragrande maggioranza dei casi, se si pensa che lo stesso Consiglio giudiziario favorevolmente anche per l’allora aggiunto Fabio De Pasquale, poi condannato per aver nascosto prove utili agli imputati del processo Eni-Nigeria. Fu poi il Csm a bocciare la sua conferma. Nel caso di De Tommasi, invece, il niet è arrivato prima.