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VITTORIO MANES AVVOCATO
Proseguite ieri in commissione Giustizia del Senato le audizioni sul disegno di legge che introduce una nuova fattispecie penale, rubricata come “femminicidio”, sanzionata con l’ergastolo. Ha esordito Maria Monteleone, già alla guida del pool antiviolenza alla Procura di Roma.
Secondo l’ex pm «la previsione normativa non ha solo un valore simbolico e culturale ma può svolgere una adeguata e necessaria efficacia preventiva». E ha tirato in ballo anche il Pontefice: «come ha ricordato Papa Leone nell’omelia dell’ 8 giugno: “Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio”. A prescindere dalle convinzioni religiose il fenomeno è grave e va posto al centro dell’attenzione» ha concluso l’ex magistrata requirente.
Molto critico invece il professore avvocato Vittorio Manes: «Mi pare che si continui ad affidare sempre di più al diritto penale un compito di pedagogia sociale, addirittura morale, attraverso l’introduzione di fattispecie di reato che vogliono soprattutto veicolare un messaggio. Affidare al diritto penale un compito promozionale di valori culturali che non gli è proprio è sempre pericoloso, e non aiuterà certo ad assicurare maggior protezione alle potenziali vittime». Inoltre secondo l’Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Bologna esistono diverse «perplessità di ordine sostanziale, relative alla forte frizione e tensione che questa tecnica di tipizzazione del reato sottende anzitutto con il principio di uguaglianza». Per Manes «in qualche modo si legittima una discriminazione punitiva rispetto a talune categorie di persone e non ad altre».
Ricordiamo che il nuovo articolo 577 bis cp prevederebbe: «Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo». Tuttavia per il giurista «la perplessità maggiore concerne la tipizzazione di questo reato, che mi pare in notevole contrasto con i principi fondamentali che devono guidare le scelte di politica criminale del legislatore: il principio di tassatività e il principio di determinatezza. La tipizzazione del femminicidio, nella attuale proposta, evoca un fatto commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna, o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà, o comunque l'espressione della sua personalità. Concetti che sono assolutamente indeterminati, ambigui e quindi molto distanti da quei canoni che anche la nostra Corte costituzionale, penso alla recentissima sentenza 98/ 2021, ha indicato e imposto come corretti canoni di legislazione in materia penale».
Ma soprattutto i concetti utilizzati sono «carenti di tassatività anche sotto il profilo processuale: si fa riferimento a concetti insuscettibili di prova in giudizio, quasi dei postulati, come tali sempre apodittici ed auto-assertivi. Quando potremo dire di essere di fronte ad un atto omicidiario commesso come atto di discriminazione o di odio? Probabilmente sempre. O forse no, a seconda dell’intuizione dell'interprete. Si tratta di concetti così ambigui che sembrano ricordare molto da vicino il reato di plagio che fu giudicato incostituzionale dalla Corte nel 1981 proprio perché il concetto a cui faceva riferimento non era suscettibile di verifica empirica, e di essere provato in giudizio».
«Ma qual è il rischio maggiore dietro questa tecnica legislativa?» si è chiesto infine Manes. «Delegare indirettamente e surrettiziamente al giudice la verifica di questi concetti: sarà il giudice che dovrà, attraverso un accertamento puramente intuizionistico, se non emotivo, verificare in concreto la presenza o meno di questa gravissima fattispecie del femminicidio. Questo creerà non solo una grave disparità di trattamento a seconda della valutazione del giudice, ma anche una notevolissima sovraesposizione del giudice stesso. A fronte di fatti di questa rilevanza, come si sa, è molto forte l’attenzione mediatica e l'orizzonte di attesa nella collettività reclama sempre condanne esemplari e pene draconiane. E ogni volta che il giudice negherà la ricorrenza della più grave fattispecie del 577 bis, o dell’aggravante prevista secondo identici requisiti per diversi reati, ciò verrà visto come una sorta di denegata giustizia e si considererà il giudice come responsabile», ha concluso Manes.