Riportiamo di seguito il “botta e risposta” fra la senatrice Ada Lopreiato, capogruppo 5S in commissione Giustizia a Palazzo Madama, e il professor Pieremilio Sammarco, ordinario di Diritto privato comparato all’Università di Bergamo.

Egregio Direttore,
Le scrivo in qualità di prima firmataria del Disegno di Legge volto alla “Modifica all'articolo 96 del codice di procedura civile in materia di lite temeraria” noto mediaticamente come “legge Ranucci”, perché ritengo doveroso evidenziare alcune inesattezze e imprecisioni contenute nell’articolo a firma di Pieremilio Sammarco, pubblicato su Il Dubbio del 5 novembre.

Nel suo articolo Sammarco compie una grave e inaccettabile confusione tra due istituti giuridici distinti: la soccombenza e la lite temeraria (o responsabilità processuale aggravata, disciplinata dall’art. 96 c.p.c.). Difatti la soccombenza è un concetto oggettivo e automatico che si verifica quando una parte perde giustappunto la causa. Il principio generale del nostro ordinamento prevede che la parte soccombente sia tenuta a pagare le spese legali della parte vittoriosa. La soccombenza, di per sé, non implica alcuna sanzione o giudizio sulla condotta della parte. La Lite Temeraria ex art. 96 c.p.c. è, invece, un istituto di natura sanzionatoria che presuppone, oltre alla soccombenza, un elemento soggettivo: la malafede (aver agito sapendo di non aver diritto) o la colpa grave (aver agito con negligenza inescusabile) della parte soccombente. Solo in presenza di questo presupposto soggettivo, il giudice può condannare la parte soccombente al risarcimento dei danni (art. 96, comma 1, c.p.c.) o al pagamento di una somma equitativamente determinata (art. 96, comma 3, c.p.c.).

La mia proposta di legge interviene proprio sul meccanismo della lite temeraria (art. 96 c.p.c.) e non sul principio di soccombenza. L’obiettivo è inasprire le sanzioni per chi agisce in giudizio con dolo o colpa grave al solo scopo di intimidire o vessare la controparte, in particolare nel contesto delle querele per diffamazione contro i giornalisti.

L’articolo, non distinguendo tra questi due concetti, non solo fornisce un’informazione giuridicamente errata, ma impedisce ai lettori di comprendere la reale portata e i presupposti della proposta legislativa.

La proposta, pur inserendosi nel solco delle precedenti iniziative legislative – in particolare del DDL presentato dall’ex senatore Di Nicola nella scorsa legislatura – ne rappresenta un’evoluzione e un perfezionamento, e si muove in consonanza ad un contesto europeo che impone all’Italia l’adeguamento del nostro ordinamento alla direttiva anti-slapp. Il suo recepimento, oltre che doveroso dal punto di vista del rispetto degli obblighi internazionali, assumerebbe un particolare significato proprio nei giorni in cui il libero giornalismo ha subito una gravissima e inquietante intimidazione. Il recepimento della direttiva, su cui governo e maggioranza stanno tenendo un atteggiamento ambiguo, garantirebbe una pronta ed efficace azione volta alla tutela della libera informazione. Stesso obiettivo del Disegno di legge a mia prima firma.
Ada Lopreiato*
*Senatrice, capogruppo M5S nella commissione Giustizia

(Risponde Pieremilio Sammarco) Nel testo del disegno di legge di cui la Senatrice è prima firmataria che mi auguro non possa trovare dimora nel nostro ordinamento, si legge: “Il giudice, anche d’ufficio, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria”. Si tratta di una sanzione ulteriore rispetto alla condanna al pagamento delle spese del giudizio che viene applicata dal giudice in caso di lite c.d. temeraria. Si configura la lite temeraria quando vi è soccombenza totale nel giudizio intrapreso dalla parte che sa di non avere ragione; ma questo è un concetto talmente fumoso e vago che la sanzione ben si presta a essere automaticamente inflitta dal giudice a carico della parte soccombente.

Da ultimo, quanto a evocate “gravi e inaccettabili confusioni”, la Senatrice, nel sostenere le proprie tesi, ritiene applicabile la proposta di legge “nel contesto delle querele per diffamazione contro i giornalisti”, dimenticando (?) che la sua auspicata norma è propria del processo civile e non di quello penale.
Pieremilio Sammarco*
*Ordinario di Diritto privato comparato all’Università di Bergamo