Se non ci fossero state le elezioni imminenti, europee e amministrative, e soprattutto se il parlamento avesse già approvato una certa proposta di legge del deputato Enrico Costa sulla custodia cautelare, probabilmente il governatore della Liguria Giovanni Toti non sarebbe neppure stato arrestato. Sulla vicinanza delle urne come motivo fondante per le manette domestiche è stata esplicita la stessa giudice Paola Faggioni. C’era il rischio che nell’ultimo mese, quello intercorso tra la data degli arresti del 7 maggio e quella delle elezioni dell’ 8 e 9 giugno, il presidente e un gruppo di imprenditori continuassero il loro “sporco mercato” a base di do ut des.

Soldi in cambio di favori. Il fatto che non un solo euro fosse finito nella cassaforte personale di Giovanni Toti deve essere parso irrilevante agli occhi della giudice. La quale ha potuto meditare per cinque mesi, dalla richiesta del pm, prima di prendere una decisione. Persino poca roba rispetto ad altri casi simili. Uno per tutti quello di Mario Mantovani, che all’epoca rivestiva un ruolo altrettanto importante, come vicepresi-dente della regione Lombardia. Anche in quel caso il sospetto era di corruzione, ma appesantito anche dal reato di peculato. Intercettazioni dal 2011, richiesta di custodia cautelare in carcere nel settembre del 2014, arresto tredici mesi dopo, ottobre 2015. Possiamo aggiungere la data della piena e definitiva assoluzione da ogni reato nel marzo del 2022, dopo che l’imputato aveva trascorso 41 giorni in carcere e 141 ai domiciliari.

Basterebbe uno solo di questi esempi per indurre il Parlamento ad approvare con lestezza la proposta di legge del deputato di Azione, Enrico Costa. Che mira, come sostiene lo stesso parlamentare, a colmare una “lacuna normativa” sull’applicazione della custodia cautelare. Perché l’ordinanza del giudice non ha tempi certi, al contrario di quanto imposto dalla legge al pubblico ministero sulla durata delle indagini, sei mesi più sei di proroga. Costantemente violati, in realtà, perché è sufficiente aggiungere, per esempio, l’aggravante mafiosa a qualunque reato e poi si fa quel che si vuole. Trucchetti che conosce bene anche lo stesso ministro Nordio, che avendo passato la vita sullo scranno del pm, ben ha potuto osservare le abitudini di certi suoi ex colleghi, e lo ha raccontato di recente in un’intervista. Contestare l’aggravante mafiosa per poter intercettare, per esempio. Oppure, quando sono scaduti i termini per le indagini e si deve chiedere l’archiviazione, trattenere un pezzettino del fascicolo e poi ricominciare daccapo. Saranno fischiate le orecchio a qualche toga a Genova piuttosto che a Firenze? Chissà.

Comunque il pervicace deputato Costa ci prova, a proporre qualche regola più vincolante. Anche se, giusto un anno fa, nel “pacchetto Nordio” approvato dal Consiglio dei ministri qualche intervento sulla custodia cautelare si era palesato.

Come l’interrogatorio preventivo per i casi di rischio di ripetizione del reato. Cioè di quella parte dell’articolo 274 del codice di procedura penale che a detta di molti giuristi presenta profili di incostituzionalità e che era stato oggetto del referendum sulla giustizia che non aveva raggiunto il quorum. E poi la previsione del giudice collegiale per l’applicazione della misura cautelare in carcere, che però non potrà entrare in funzione prima di due anni dall’entrata in vigore della legge, per consentire un aumento di organico di nuovi 250 giudici.

La proposta di Costa è semplice e potrebbe essere approvata rapidamente. Prevede semplicemente tempi certi per l’ordinanza di custodia cautelare. È un progetto di legge che modifica l’articolo 292 del codice di procedura penale, stabilendo il termine di 60 giorni entro il quale il gip deve emettere l’ordinanza. Con una sola possibilità di proroga di ulteriori 30 giorni, che deve però riguardare solo casi di “particolare complessità” e coinvolgere il presidente di sezione, cui il gip dove motivare la richiesta. È palese come non sia affatto irrilevante la scansione dei tempi. Per almeno due motivi. Il primo è che, se ci sono questi rischi, che devono sempre concreti e attuali, che l’indagato possa darsi alla fuga o inquinare le prove o peggio ancora ripetere il reato, non è grave il fatto di indugiare? Non è da irresponsabili lasciar circolare una persona che potrebbe tenere questo tipo di comportamenti? Il secondo motivo è dovuto al fatto che, se il giudice non provvede con urgenza, le esigenze cautelari inevitabilmente si affievoliscono. È proprio questo il caso di Giovanni Toti, rispetto al quale l’arresto, per quanto domiciliare, pare sempre più incomprensibile. Perché una privazione della libertà in gennaio, dopo la richiesta del pm, cinque mesi prima delle elezioni che il governatore della Liguria avrebbe potuto, secondo il giudice, inquinare, avrebbe avuto una diversa efficacia rispetto al provvedimento eseguito in maggio, a un mese dalla scadenza elettorale. Le date sono importanti, insomma. E lo stesso termine “cautelare” non può essere disgiunto dall’attributo di “urgente”.

Vedremo adesso se i parlamentari, per lo meno quelli della maggioranza e coloro che hanno a cuore i problemi della giustizia e del carcere ( ieri il trentanovesimo suicidio dall’inizio dell’anno), aderiranno alla proposta e magari si rimboccheranno le maniche per farla approvare rapidamente. Basterebbe un po’ di buona volontà.