Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, rischia di infierire nei confronti di avvocati che sono sì in ritardo nei versamenti fiscali e contributivi, ma perché a loro volta vittime dei ritardi che proprio la pubblica amministrazione accumula nel corrispondere i compensi relativi a difese d’ufficio e patrocinii a spese dello Stato. È il senso della lettera inviata dal presidente Cnf Francesco Greco al responsabile del dicastero di via XX Settembre, irremovibile nel blindare la norma sulla “regolarità fiscale e contributiva”, contestata dall’intera avvocatura.

Il vincolo resta dunque incistato nella legge di Bilancio: il maxi-emendamento da 30 pagine depositato dal governo al Senato non fa parola della misura che introduce la libertà di non pagare i legali. E sì: perché l’articolo 129 comma 10 della Manovra prevede che un professionista (non solo un avvocato), se ha debiti verso l’erario o il proprio ente di previdenza, non è escluso dagli incarichi pubblici: semplicemente, non potrà ottenere, incredibile a dirsi, il pagamento dovuto per l’opera svolta.

Una norma che Greco, nella nota inviata a Giorgetti, definisce «iniqua, ingiusta e, per certi aspetti, incostituzionale» e che dunque, secondo il Cnf, «va soppressa». Si tratta, per l’istituzione degli avvocati, di una «mannaia» che «si abbatte su migliaia di professionisti e colpisce», appunto, «soprattutto gli avvocati impegnati nel patrocinio a spese dello Stato e nella difesa d’ufficio». Il presidente del Consiglio nazionale forense ricorda al ministro dell’Economia come ad essere bersaglio della misura siano «professionisti che hanno assistito cittadini meno abbienti e che, pur vantando crediti riconosciuti dall’autorità giudiziaria, attendono da anni il pagamento delle somme dovute. Un mancato incasso che è spesso causa dei ritardi e dell’impossibilità di versare le imposte dichiarate. Quindi non evasori, ma vittime delle inadempienze nei pagamenti dello Stato. La norma», aggiunge il vertice dell’istituzione forense, «rischia di produrre un “effetto fuga” di molti professionisti da un’attività già caratterizzata da compensi bassissimi, ma essenziale per la tutela dei diritti fondamentali: solo nel 2024 sono stati oltre 200mila i cittadini che hanno avuto accesso al patrocinio a spese dello Stato, tra cui minori, e donne vittime di maltrattamenti prive di reddito».

Come già anticipato nelle dichiarazioni riportate sabato scorso su queste pagine, Greco individua anche un profilo di incostituzionalità, nella norma inserita in legge di Bilancio: è «fortemente sperequativa», sia nei confronti degli altri lavoratori, in particolare del pubblico impiego, «ai quali la retribuzione viene correttamente corrisposta anche in presenza di morosità fiscali», sia «rispetto ai contribuenti che possono accedere alla rottamazione dei debiti senza subire il blocco degli incassi. L’avvocatura sarà sempre al fianco di politiche rigorose contro l’evasione fiscale, ma questa è la strada sbagliata», conclude il presidente del Cnf, «perché danneggia l’accesso universale alla giustizia e colpisce proprio chi garantisce l’effettività del diritto di difesa delle fasce più deboli».

Nonostante le perplessità manifestate da diverse componenti del centrodestra, la “licenza di non pagare” i professionisti, e gli avvocati in particolare, resta per ora nel testo della Manovra. Il che suscita diverse altre reazioni, nel mondo forense. L’Associazione italiana giovani avvocati fa notare come la misura pregiudichi il pagamento dei compensi dovuti dalla Pa anche per «irregolarità di minima entità, con conseguenze sproporzionate rispetto alla finalità dichiarata». Anche Aiga ricorda che «i tempi di pagamento dei compensi professionali da parte della pubblica amministrazione» sono «già caratterizzati da ritardi significativi, con particolare criticità nel settore della Giustizia». E l’associazione presieduta da Luigi Bartolomeo Terzo segnala che l’ultima formulazione è «ulteriormente peggiorativa rispetto alla formulazione originaria». Ed è la presidente di Movimento forense Elisa Demma a firmare personalmente una nota in cui, come Greco, mette in guardia dal rischio di provocare «una drastica riduzione del numero degli avvocati disponibili ad assumere incarichi garantiti dallo Stato, con un impatto immediato sui cittadini economicamente più fragili». Ci sono ulteriori paradossi giuridici, per Demma, e anche meramente “logici”: meccanismi come quelli introdotti dal dicastero dell’Economia (e condivisi, in Consiglio dei ministri, dalla gran parte del governo) «generano effetti distorsivi, privando i professionisti delle risorse necessarie anche per far fronte alle stesse esposizioni fiscali. L’estensione di queste logiche ai compensi a carico dello Stato, in un contesto già segnato da reiterati ritardi nei pagamenti e da recenti censure in sede europea», aggiunge la presidente di “Mf”, «rischia di paralizzare un presidio essenziale di tutela dei diritti fondamentali». E ancora, secondo Demma si ignora l’alert lanciato dalla «Corte europea dei diritti dell’uomo», secondo cui «l’accesso alla giustizia deve essere effettivo e non solo formale: indebolire il patrocinio a spese dello Stato va in direzione opposta».

In un proprio comunicato, l’Ordine forense di Roma, pure avverte che «la misura potrebbe comportare l’esclusione da incarichi pubblici di una parte significativa dell’avvocatura, già penalizzata da ritardi nei pagamenti da parte delle stesse amministrazioni, con ricadute negative sul patrocinio a spese dello Stato e sulla tutela dei cittadini più vulnerabili». Il presidente del Coa Alessandro Graziani chiede dunque di «individuare soluzioni equilibrate che garantiscano il rispetto delle regole fiscali e previdenziali, senza compromettere la funzione sociale dell’avvocato e il diritto fondamentale di accesso alla giustizia».