Governo, minacce di crisi Se non è ancora crisi di governo è solo per una questione di tempi. Perché le relazioni tra Lega e Movimento 5 Stelle sono precipitate nelle ultime 72 ore, da quando Ursula von den Leyen è stata eletta presidente della Commissione europea anche grazie ai voti dei grillini.

E complici le tensioni tra soci di maggioranza sul “caso rubli”, dalle accuse reciproche di tradimento si è passati all'insulto. Fino a decretare la fine del rapporto di «fiducia, anche personale» tra alleati, certificata da Matteo Salvini, che oggi non si presenterà né in Consiglio dei ministri, né al vertice sulle Autonomie.

«Ci sono tanti altri validi leghisti» ai tavoli, taglia corto il ministro dell'Interno, convinto che i pentastellati abbiano già tradito il patto del “cambiamento”, accordandosi in Europa con «Merkel, Macron, Renzi e Berlusconi».

L'attacco di Salvini, la risposta di Di Maio Cinquestelle e Pd, secondo Salvini, «da due giorni sono già al governo insieme, per ora a Bruxelles. Tradendo il voto degli italiani che volevano il cambiamento. Una scelta gravissima, altro che democrazia e trasparenza».

Accuse inaccettabili per l'altro vice premier, Luigi Di Maio, che replica per le rime in diretta Facebook: «Questa mattina ci siamo svegliati così, con una minaccia di far cadere il governo e poi un attacco frontale a me», accusato di lavorare «a un governo col Pd. Capisco che si attacchi il M5s per fare notizia e coprire le inchieste sui finanziamenti alla Lega», dice il capo politico, prima di convocare i vertici pentastellati per fare il punto della situazione e accusare Salvini di aver «colpito alle spalle» il Movimento.

«Però è una falsità, un attacco grave frontale che io non posso permettere. Se vogliamo seguire questo schemino qua, chi sta al governo nelle Regioni con Berlusconi è la Lega, chi sta al governo con Renzi sui finanziamenti a Radio radicale, sul Tav, è la Lega», insiste Di Maio, respingendo al mittente ogni accusa. «L’elezione di Von der Leyen non può essere usato a pretesto per attaccare il M5S».

Ma la guerra di governo non si limita allo scontro tra vicepremier.

Anche Conte nello scontro Nel mirino del leader leghista c’è anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, “colpevole” di aver inviato una lettera a Repubblica in cui descrive le possibili ripercussioni sull’Italia del voto contrario alla nuova Commissaria espresso dal Carroccio.

«L’intervista di Conte di oggi dove parlava di tradimenti non l’ho apprezzata», dichiara Salvini, convinto di non aver danneggiato il nostro Paese. «Gli auguro di essere fortunati a Conte e Di Maio, non vedo la Merkel e Macron che fanno interesse italiano», aggiunge, prima di mettere in guardia gli alleati su possibili tentazioni di “ribaltone”: «Non vedo governi diversi da questo. Se i no prevalgono sui sì allora la via è quella del voto, sperando che non ci siano maggioranze raccolte sul marciapiede perché qualcuno non vuole mollare la poltrona».

Di Maio non accetta il terreno della discussione su cui l’inquilino del Viminale vorrebbe trascinarlo, e prova a stuzzicare la Lega sulle incoerenze dimostrate a Strasburgo. «Noi siamo stati responsabili perché vogliamo far contare l’Italia», premette il capo politico M5S. «Ora, il colmo è che Lega voglia il commissario europeo, noi li sosterremo se saranno in grado di ottenerlo, ma se tu ti isoli e voti contro la presidente della Commissione e poi le vai a chiedere di nominare un leghista come suo vice, c’è qualche difficoltà», spiega Di Maio.

Dalle autonomie al caso rubli Ma i fronti aperti non riguardano solo l’Europa. A rendere incandescente il clima tra alleati ci sono tutti i dossier ancora irrisolti sul tavolo: dalle Autonomie alla flat tax, dal decreto sicurezza bis alla riforma della giustizia, fino al “caso rubli”.

Ed è proprio su quest’ultimo punto e sull’indisponibilità di Salvini a riferire in Aula come richiesto dal Pd che i toni si fanno esasperati.

Il presidente della Camera, Roberto Fico, che per due volte ha chiesto formalmente al ministro dell’Interno di presentarsi in Parlamento, ha perso la pazienza: «Dopo aver inoltrato al governo la richiesta avanzata da alcuni gruppi che il ministro Salvini venga in Aula a riferire non ho ricevuto alcuna risposta rispetto alla sua disponibilità», annuncia Fico a Montecitorio.

«Prendo atto a questo punto del diniego del Viminale. Lo ritengo una mancanza di rispetto istituzionale nei confronti del Parlamento», dice stizzito, ottenendo una “concessione” dal numero uno di Via Bellerio.

«Quando parlavo di mancanza di fiducia è a questo che mi riferisco», risponde il segretario della Lega.

«Quando si è trattato di vicende che riguardavano i 5 stelle, io non mi sono mai permesso di dire mezza parola perché mi fido», è il ragionamento. «Sarebbe bello che si fidassero di me, quando dico che non abbiamo preso soldi. Andrò presto in Parlamento nelle forme che chiarirò».

E in attesa di conoscere i tempi e le forme scelte dal vicepremier per presentarsi davanti a deputati, l’Espresso annuncia di essere in possesso di nuovi documenti sul “caso russo” che verranno pubblicati domenica. Salvini non sembra preoccuparsene e in serata usa persino toni più concilianti.

«E poi senti la tua bimba al telefono che ti racconta che ha fatto i compiti, che ride e canta felice. E tutte le incazzature di giornata spariscono in un attimo», scrive su Twitter. Ma in serata, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, sale al Colle per comunicare la rinuncia alla corsa per diventare commissario europeo.