Finalmente un pubblico amministratore che non si spaventa non appena la procura gli fa “buu”. Parliamo di Giovanni Toti, che osa essere ancora il presidente della Regione Liguria nonostante gli abbiano messo le manette domestiche dal 7 maggio scorso. Ma osa ancora di più. Chiarisce come non rientri nel suo vocabolario la parola «dimissioni».

Rivendica il proprio ruolo di amministratore ma anche di leader politico. A conferma, il suo legale, l’avvocato Stefano Savi, ha presentato ieri mattina una richiesta alla giudice Paola Faggioni per alcuni permessi di colloquio.

Non ne hanno forse diritto anche coloro che sono detenuti in carcere? Se quindi le manette domestiche che impediscono al presidente di governare, non escludono che ci sia un vice - Alessandro Piana della Lega, che svolge il suo ruolo, perché neppure la legge Severino si è spinta fino a decidere la decadenza dell’amministratore indagato -quelle politiche gli stanno particolarmente strette.

Perché Giovanni Toti è leader di un piccolo movimento che ha anche un referente sul piano nazionale, “Noi Moderati” di Maurizio Lupi, con cui lui vorrebbe conferire per valutare e ragionare sulle decisioni politiche da assumere di fronte a una situazione particolare, anche se non insolita nello scenario politico- giudiziario italiano.

Quella di un presidente di Regione ammanettato e gettato allo sbaraglio di un’informazione famelica e pornografica. Con il secondo passaggio previsto, quello delle dimissioni, poi la successiva sconfitta elettorale della sua parte politica e infine l’assoluzione giudiziaria, inutile premio di consolazione dopo la fine politica e umana del malcapitato. Questo è lo schema cui Giovanni Toti sta cercando di sottrarsi, e la richiesta di poter avere colloqui politici è parte importante della sua strategia.

Gli incontri più importanti potrebbero essere senza dubbio quelli con i rappresentanti degli altri partiti della coalizione che sostiene il governo della Regione Liguria. Con il segretario della Lega Edoardo Rixi, il coordinatore regionale di FdI Matteo Rosso che in un primo momento non aveva escluso l’ipotesi di dimissioni del governatore, poi ritirata, ma soprattutto con il coordinatore regionale di Forza Italia, Carlo Bagnasco.

Sarà questo, se la gip lo concederà, l’incontro più rilevante, per qualche spina del passato con il partito di Berlusconi, il mago che aveva trasformato un bravo giornalista in un bravo amministratore, salvo poi essere abbandonato dopo il viaggio di nozze. Ma sono appunto spine del passato. Il presente è la difesa, da parte di tutti i partiti del centrodestra, cui dovrebbero affiancarsi, se fossero lungimiranti, anche quelli di sinistra, dei principi dello Stato di diritto. Quello che non consente l’interferenza di un potere dello Stato nelle competenze dell’altro. Ci sarebbe già materiale sufficiente perché il ministro Nordio mandasse a Genova un paio di ispettori a dare un’occhiata. Per capire, prima di tutto, perché questa inchiesta, ed è un aspetto rimasto in penombra, nasca come “antimafia”, tanto che i documenti della procura portano l’intestazione della Dda, la direzione distrettuale antimafia. E poi tanti problemi di date e di intercettazioni. Ma la famosa “prova regina” pare del tutto assente.

Nell’ordinanza di rigetto della gip, per esempio, pare sia diventato fondamentale per sostenere l’accusa di corruzione, un contributo di 4.500 euro con cui l’imprenditore Aldo Spinelli avrebbe prenotato dieci posti per altrettanti ospiti a una cena elettorale. E la frase con cui Giovanni Toti, dopo aver comunicato l’impegno alla segretaria, avrebbe aggiunto «per il resto ci aggiustiamo».

Sulla base di queste cifre, ufficiali, e di questi “aggiustamenti”, qualunque significato abbiano, si tiene una persona agli arresti per il rischio che, in vista delle prossime elezioni del settembre 2025 possa inquinare le prove o ripetere il reato? Ma quale reato, quello di organizzare, come fanno tutti i candidati di tutti i partiti, cene elettorali di finanziamento?

Tra oggi e domani l’avvocato Stefano Savi presenterà il ricorso al Tribunale del Riesame, dopo che la giudice Paola Faggioni ha sbattuto la porta in faccia alla richiesta di revoca della custodia cautelare. È un ricorso «facile», sostiene il legale, perché l’ordinanza ignora volutamente ogni principio su cui si basano le cautele nella fase delle indagini preliminari. Ora, l’interrogatorio del governatore è stato lungo, approfondito ed esaustivo, a rigor di logica per lo meno.

Fatti nuovi non paiono essere spuntati all’orizzonte. E il pericolo, sia di fuga piuttosto che di inquinamento delle prove o ripetizione dell’eventuale reato, deve essere concreto e attuale. Invece, nell’ordinanza di rigetto della gip, tutto appare fumoso e lontano. Se prima, nell’atto che ne disponeva la custodia ai domiciliari, si invocava la data dell’ 8 giugno e delle elezioni europee come scadenza “pericolosa” nella quale l’indagato avrebbe potuto farsi corrompere, ora si sposta la scadenza più in là, quella delle Regionali del 2025. E si citano episodi già noti, come quello del contributo di 4.500 euro per un tavolo da dieci in una cena di 600 persone, in seguito alla quale ogni contributo è stato denunciato e tracciato. Ma nel frattempo si impedisce a un amministratore di fare il proprio dovere al servizio della comunità. E fino a quando? Perché dopo le Regionali ci saranno alcune Comunali, e poi le Politiche, e poi ancora le Europee. Nel frattempo questi magistrati avranno fatto carriera, proprio come quelli che avevano arrestato Enzo Tortora, e Giovanni Toti sarà ancora lì, nel giardinetto della villa di famiglia di Ameglia, in attesa di giudizio?