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Milano, Incidente Probatorio in Questura per il caso dell’omicidio di Chiara Poggi Garlasco
Una controaccusa netta, dura, senza appello. Gli avvocati coinvolti nell’inchiesta bis sull’omicidio di Chiara Poggi rispediscono al mittente le parole del procuratore capo di Pavia, Fabio Napoleone, e ribaltano l’accusa: non siamo stati noi a far trapelare notizie, dicono, semmai il problema nasce altrove.
Al centro dello scontro, ancora una volta, la gestione mediatica del caso e la presunta fuga di notizie sulla famosa “impronta 33”. Come raccontato la scorsa settimana, il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva risposto ad un’interrogazione parlamentare del capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia della Camera, Tommaso Calderone. Che chiedeva di sapere se fosse stato violato il segreto investigativo e se eventualmente ci fossero presupposti per una azione ispettiva, dato che stiamo assistendo a una vera e propria telecronaca sulla riapertura delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi.
Ma nella replica all’atto di sindacato ispettivo, contenente in gran parte una relazione del procuratore Napoleone, veniva evidenziato che tutto ciò che sta circolando è «materiale non segreto» ed è «conosciuto dalle parti e dai loro difensori, i quali quotidianamente compaiono nei vari talk show televisivi o in interviste sui quotidiani». A differenza degli inquirenti, dal momento che «nessun magistrato della procura, nessun consulente tecnico o dirigente della Pg ha rilasciato interviste o dichiarazioni». Ciò in quanto la prima disposizione impartita quando si è iniziato ad indagare su Sempio sarebbe stata «il divieto di diffusione di notizie».
Insomma tutta colpa dei legali delle varie parti in gioco se assistiamo ad una cronaca minuto per minuto. Ma stanno davvero così le cose? Napoleone, nella sua relazione, ha scritto che la consulenza dattiloscopica dell’impronta 33 non era coperta da segreto e che era a disposizione di tutte le parti. Quindi lo scoop della Rai - Il Tg1 titolò: «Impronta di Sempio accanto al cadavere di Chiara», con tanto di immagine di una traccia che sembrava insanguinata - non sarebbe frutto di fughe di notizie della procura o della Pg, ma colpa di qualche legale.
Una ricostruzione respinta da Angela Taccia, difensore di Andrea Sempio insieme al legale Massimo Lovati: «Provo amarezza, e pure incredulità, per aver appreso che illustri professionisti abbiano affermato, e anche solo pensato, che sia stata la difesa di Sempio a far trapelare notizie del tutto errate a danno del proprio assistito, esponendolo alla gogna mediatica - spiega al Dubbio -. Tutto ciò non ha il minimo senso logico». Taccia ricorda infatti che «la relazione della procura sull’impronta 33 fu pubblicata dai media in modo errato e scorretto ben prima che noi, legali di Sempio, ne avessimo conoscenza, anche perché quel medesimo giorno avevamo deciso di non far presentare il nostro assistito all’interrogatorio. In qual modo dunque avremmo potuto esserne a conoscenza?».
Inoltre, prosegue l’avvocato, «è sconcertante pure il fatto che ci sia stata una grave fuga di notizie relativamente ai contenuti degli oggetti sequestrati al nostro assistito. Chi ha avuto interesse a far risultare pubblicamente Andrea Sempio una persona oscura e il possibile crudele omicida, quando egli, ad oggi, è semplicemente una persona indagata? Sicuramente non noi». Il riferimento è ad alcuni appunti scritti a mano e diari sequestrati al nuovo indagato. Taccia ha poi concluso con una riflessione più generale sul ruolo degli avvocati in questi grandi casi mediatici: «Nel momento in cui circolano gravi e false notizie a discapito del proprio cliente, rendendogli difficoltosa la vita quotidiana e rovinando la sua reputazione, il difensore ha il compito di comparire anche mediaticamente, nella giusta misura, e di chiarire pubblicamente come stanno realmente le cose, proprio per tenere il più possibile riparata la persona che rappresenta dalle illazioni pretestuose che gli vengono scagliate contro ingiustamente».
A rafforzare il pensiero di Taccia è l’avvocato Francesco Compagna, che assiste la famiglia Poggi insieme all’avvocato Gian Luigi Tizzoni: «La sera del 20 maggio, quando andò in onda il primo servizio del Tg1, i difensori delle persone offese non erano ovviamente a conoscenza di questo dato. Per quanto mi è noto, non ne potevano essere a conoscenza neppure Andrea Sempio ed i suoi difensori, in quanto il dato in questione avrebbe dovuto essergli rappresentato “con effetto sorpresa” proprio in occasione dell’interrogatorio fissato per lo stesso giorno e poi andato deserto». Si chiede allora Compagna: «Chi ha deciso di fornire al Tg1 quella immagine rossa che ha fatto credere erroneamente a milioni di italiani che il povero Sempio fosse un assassino? E per quale motivo il comunicato diramato il giorno dopo dalla procura non ha immediatamente chiarito che la presenza di sangue era già stata esclusa dall’apposito test effettuato dal Ris di Parma, facendo invece riferimento a presunte “investigazioni in corso”? La scelta di accusare gli avvocati della diffusione di una simile notizia è davvero intollerabile, anche perché i difensori di Sempio non avevano ovviamente alcun interesse ad esporre il loro assistito alla gogna mediatica. Credo che a questo punto la procura di Pavia abbia il dovere di rappresentare i fatti al ministro secondo verità e che si debba fare chiarezza su questa vicenda: ne va della fiducia dei cittadini nella magistratura inquirente e nella polizia giudiziaria».
Ricordiamo anche che qualche giorno fa proprio Tizzoni e Compagna hanno diffuso una nota in cui sottolineavano come, in merito all’impronta 33, «la famiglia Poggi ha provveduto a richiedere ai propri consulenti un apposito approfondimento tecnico, previa acquisizione della consulenza dattiloscopica del pubblico ministero. Poiché le conclusioni formulate depongono per la sicura estraneità dell’impronta alla dinamica omicidiaria, oltre che per la non attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio, abbiamo pertanto ritenuto di sollecitare, quali legali delle persone offese, un definitivo accertamento sul punto, da compiersi con incidente probatorio». Abbiamo chiesto anche un commento ad uno degli avvocati di Alberto Stasi, Antonio De Rensis, ma ha preferito non commentare.