Si parla di colpi messi a segno. Di punti, di strategie, come in una partita. Ma è la giustizia e la giustizia ha a che fare con la vita delle persone. Nel bene e nel male. Sui media questo non sembra contare. E così un’impronta palmare viene proposta come intrisa di sangue di Chiara Poggi, la vittima che sembra sparita dal racconto trasformato in show, diventata secondaria. Il sangue non c’è, ma poco importa: nessuno, tra qualche anno, si ricorderà di questo particolare. Rimarrà impressa quella macchia rosacea che per tutti è una prova a lungo - e inspiegabilmente - ignorata, dimenticando che Andrea Sempio, il nuovo protagonista, l’amico del fratello, anni fa era stato pure intercettato, ma senza che emergesse nulla. Il racconto è pieno di imprecisioni, come quella dell’elemento principale, il dna trovato sotto le unghie della vittima, anche se la verità è leggermente diversa: ci sono sì dei marcatori compatibili con quelli di Sempio, a 18 anni dal delitto, ma non sotto, bensì sopra le unghie. Dettagli, si dirà, ma non è così. Perché sono i dettagli apparentemente insignificanti a cambiare le sorti di una storia.

Sui principali quotidiani del Paese, ieri mattina, è apparsa questa versione dei fatti: l’impronta di Sempio è stata ritrovata nel sangue della vittima. Impossibile, raccontato così, non vedere in questo elemento la pistola fumante, peraltro tirata fuori proprio mentre l’indagato decideva di non presentarsi per l’interrogatorio, grazie ad un vizio nell’invito a comparire celebrato dalla sua avvocata Angela Taccia sui social in un modo che ha suscitato indignazione e sdegno. Il giorno dopo, però, la procura deve correre ai ripari. E spiegare che il colore “rosa-violetto” che si vede nelle foto - da dove provengono, a proposito? Sono atti coperti da segreto? Nessuno risponderà mai - non non dipende dalla presenza di sangue, ma dalla «reazione del reagente utilizzato dal Ris di Parma sulla parete della scale». Un’informazione che nessuno ha dato al Tg1 - autore dello scoop -, che ha consegnato all’opinione pubblica l’immagine che forse più rimarrà impressa in questo eterno gioco dell’oca.

Il reagente è la ninidrina e venne usato nel 2007 dagli investigatori per trattare le pareti e del soffitto del primo tratto della scala che conduce alla cantina. La fuga di notizie ha spinto la procura di Pavia a chiarire la situazione in una nota, nella quale si parla di «imprecisioni e inesattezze riportate dai media». L’impronta “33” di cui parla la consulenza tecnica dattiloscopica collegiale redatta dai carabinieri era stata repertata e fotografata il 29 agosto 2007 dai Ris di Parma. Il successivo 5 settembre 2007 una parte di essa è stata asportata dal muro grattando l’intonaco con un bisturi sterile, chiarisce il comunicato, ritenendo la restante parte «non utile». Ma alla luce delle «nuove potenzialità tecniche a disposizione», oggi è stato possibile attribuire quella impronta al palmo destro Sempio, «per la corrispondenza di nr. 15 minuzie dattiloscopiche». E solo di perizia dattiloscopica si parla, motivo per cui non era possibile, sin dall’inizio, di parlare di particelle ematiche. Al momento, peraltro, non è previsto un accertamento biologico, anche se la procura sta procedendo ad ulteriori investigazioni rispetto a una “parte” della traccia 33. L’altro avvocato di Sempio, Massimo Lovati, parla di bufala, di elementi di parte. Opinione condivisa, scrive Repubblica, dall’ex generale Luciano Garofano, la cui consulenza nel primo fascicolo definì l’impronta non utile. «È un’interpretazione di esperti che possono fallire», afferma.

Si vedrà. Qualcuno, negli ambienti legali, parla di indagine dall’obiettivo «poliziottesco», con lo scopo, cioè, di «far crollare» qualcuno. E la campagna mediatica, dunque, sarebbe funzionale all’indagine, un po’ come il video del furgone di Bossetti nel caso Yara Gambirasio: non era vero, ma serviva. «Esigenze mediatiche» che ormai hanno smesso pure di fare orrore. C’è poi un altro elemento storpiato dalla stampa, ovvero la risposta data da Marco Poggi, fratello di Chiara, sui luoghi della casa frequentati da Sempio: secondo il mainstream, Poggi avrebbe prima negato la possibilità che Sempio sia mai sceso nella cantina dove poi fu ritrovato il corpo della vittima, salvo poi cambiare versione di fronte alla rivelazione relativa all’impronta palmare. Falso: Poggi - stando a quanto si apprende - ha risposto una sola volta, affermando che Sempio era stato in tutte le stanze della casa, eccetto quella dei suoi genitori. Storie di quotidiano processo mediatico, di piccoli “errori” che, sommati, possono anche riscrivere la storia. Il tutto mentre gli indizi che portano a Sempio continuano ad essere cannibalizzati e pubblicati sui giornali. Gli ultimi sono gli appunti trovati a febbraio nella spazzatura, nei quali il giovane avrebbe scritto di aver «fatto cose brutte», da «non immaginare». Mentre i media inseguono il dramma, la vera domanda rimane: quanto siamo disposti a sacrificare in nome della narrazione e quanto siamo davvero interessati alla giustizia? E, nel frattempo, Chiara Poggi e il suo caso continueranno a essere “notizie”, ma difficilmente verità.