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Il giurista Ennio Amodio
Nuove indagini sul delitto di Chiara Poggi e annesso processo mediatico: ne parliamo con l’avvocato e professore Ennio Amodio, emerito di procedura penale all’università di Milano.
Dove finisce il diritto di cronaca e inizia quello alla privacy e a non essere condannati prima del processo?
È un problema di misura e di modalità. Il diritto di cronaca è sacrosanto ed è previsto, come tutti sanno, dalla Costituzione. Invece va contro il giusto processo l’atto di strumentalizzare un'indagine per diffondere notizie al fine di contestare all’indagato, davanti all'opinione pubblica, un determinato reato. Siamo dinanzi ad una profonda distorsione quando vediamo le procure fornire alle stampa indiscrezioni affinché si formi un'opinione dei cittadini fuori dall’Aula dell’eventuale processo.
Non stiamo assistendo ad un eccessivo protagonismo degli investigatori in questa attività di filtraggio delle notizie?
Siamo di fronte ad una degenerazione: l'apertura completa del processo, specie nelle indagini, vìola il principio del segreto investigativo, la riservatezza delle indagini. Questo è posto a tutela degli indagati che non debbono essere presentati fin dall'inizio delle indagini come i veri colpevoli, in modo da addensare sopra di loro gli strali del convincimento pubblico circa la responsabilità di un reato. Nei Paesi di Common Law parlerebbero di “abuse of process”. Qui si potrebbe parlare anche di una ribollita in salsa mediatica. Poi bisogna tener conto di un altro aspetto.
Quale, professore?
Le indagini arrivano a distanza di 18 anni dal fatto e quindi c'è una loro intrinseca debolezza di cui sono consapevoli gli investigatori. Questi ultimi mirano a ribaltare questa debolezza cercando il sostegno dell'opinione pubblica. È per questo che raccontano le indagini e le investigazioni minuto per minuto, perché capiscono che solo con la pressione dell'opinione pubblica si può arrivare a ribaltare un caso, ormai definito da una sentenza passata in giudicato. Al contrario, questo scenario dovrebbe convincere i magistrati ad essere più riservati.
Guardando le trasmissioni televisive e i social tutti sono pronti a dire la loro, pur non avendo letto le carte né passate né recenti. Tutto legittimo o ci vorrebbe un self restraint?
Il processo a mezzo stampa ha delle forme che sono del tutto antitetiche rispetto al processo che si svolge in sede giudiziaria, perché non esiste la presunzione di innocenza, ma la presunzione di colpevolezza. Più un pubblico ministero addita qualcuno come colpevole, più si addensa nella mente delle persone quella convinzione. Per quello poi diventa difficile accettare una assoluzione dopo un processo in Corte d’Assise.
Alberto Stasi fu subito “lombrosianamente” condannato dalla stampa, come ricordò lo scrittore Alessandro Piperno sul Corsera: «L’incarnato diafano, la sobrietà dei lineamenti, la sfuggente pudicizia, tutto lo rende l’interprete ideale del ruolo di Stavroghin in una eventuale trasposizione cinematografica de I demoni di Dostoevskij». Ora tocca ad Andrea Sempio.
Questo è un problema direi di cultura giuridica dell'opinione pubblica. Purtroppo essa non possiede quelle conoscenze e quegli strumenti per andare al di là delle apparenze, per analizzare le tesi in gioco. Questa fragilità fa sì che ci sia la tendenza a costruire subito un colpevole. E l'unica vera difesa e prevenzione rispetto a questo è l'autolimitazione dei pm che indagano. Tutto quello che leggiamo rappresenta un risultato provvisorio non filtrato da nessun giudice.
Alberto Stasi continua a professarsi innocente ma qualcuno lo critica perché ormai c’è una condanna.
L'esperienza insegna che anche le persone condannate con sentenza definitiva continuano a professarsi innocenti. Si tratta di una esternazione insopprimibile.
La famiglia di Chiara Poggi però contesta queste nuove indagini.
Si può comprendere questo atteggiamento da parte dei genitori della vittima. Hanno la necessità di non riaprire la ferita, non rivivere quel dolore e quindi vorrebbero che non se ne parlasse mai.
Professore, faccio una domanda cattiva: dietro alla fermezza della famiglia Poggi nel non voler avere un nuovo processo ci potrebbe essere il timore di dover restituire a Stasi il risarcimento in caso di condanna di un altro soggetto?
No, secondo me c'è un altro aspetto: moralmente la famiglia ha in mente ciò che è il risultato del primo processo. Ha, diciamo così, indirizzato tutto il proprio rancore verso Stasi. Con un nuovo processo e un presunto nuovo colpevole verrebbe meno quello spirito di revanche che fino ad oggi si è avuto verso Stasi.
Ma lei, pur non conoscendo i dettagli del caso, che idea si è fatto?
La legge prevede che se ci sono nuove prove si può riaprire il caso. Qui, a mio modesto parere, siamo invece di fronte non a nuove prove, ma a una rilettura degli indizi del passato e a qualche altro frammento che viene fuori e di per sé giustifica una riapertura delle indagini. Insomma, la sola rimasticatura degli indizi non basta per mettere un nuovo nome al posto di quello dell’originario colpevole.
Il professor Leonardo Filippi evidenzia che una ipotetica richiesta di rinvio a giudizio di Andrea Sempio si porrebbe in contrasto con il precedente giudicato di condanna e sarebbe pertanto da ritenere nulla. Lei concorda?
Anche io mi sono posto questa domanda. La legge prevede che si può aprire un processo di revisione per Stasi solo quando c'è la sentenza definitiva di condanna al termine di un eventuale processo a carico di Sempio e quindi ci sarebbe un conflitto di giudicati. Quindi non sono d’accordo con il mio collega ma ammetto che la situazione è nuova.
In questo momento Sempio è indagato in concorso con Stasi o con ignoti. Si potrebbe arrivare dunque a condannarlo facendo restare immutata la sentenza su Stasi.
Se ci fosse un rinvio a giudizio di Sempio in concorso con Stasi, allora è chiaro che non ci potrà essere conflitto di giudicati, nel senso che hanno agito insieme, casomai uno ha istigato l’altro. Bisognerà vedere poi come sarà descritta la condotta.
Sulla condanna di Stasi molti hanno dubbi in quanto per ben due volte è stato assolto anche se poi nell’appello bis sono emersi nuovi elementi. Lei che idea si è fatto?
Quello che più mi colpisce è una condanna in assenza di movente che la Cassazione ritiene elemento essenziale per una condanna e una incertezza del quadro indiziario. Questa incertezza si manifesta ancora di più adesso quando tutto viene rimesso in gioco e gli stessi elementi di allora visti sotto un’altra ottica.