Non potrà tornare a Reggio Emilia, dove la poltrona di procuratore è ormai occupata dal collega Gaetano Paci. Ma dopo l’ingiusta defenestrazione, definita dal Consiglio di Stato una «manovra politica», il Csm prova a “risarcire” Marco Mescolini, proposto dalla quinta commissione del Csm come procuratore della Repubblica di Pesaro. Il Csm aveva proposto al magistrato alcune sedi in cui il posto di procuratore è attualmente vacante, tra cui Aosta, Cremona, Belluno e Catanzaro, oltre Pesaro. «Sono rimasto lusingato dalla proposta di Catanzaro - ha commentato ad Ansa. it Mescolini -, ma per motivi familiari e personali ho preferito optare per Pesaro, una Procura di cui tutti conoscono la qualità e la preparazione del personale che vi lavora. Attendo con fiducia la decisione del plenum».

Dopo il suo trasferimento d’ufficio, deciso dal precedente plenum a febbraio 2021, Mescolini era tornato sostituto semplice, in una sede lontana dall’Emilia Romagna, ovvero Firenze. Luogo dove in molti, tra colleghi e funzionari della procura di Reggio Emilia, stando a quanto emerso dalle testimonianze raccolte nel corso della nuova istruttoria, sono andati a trovarlo dopo l’allontanamento, a riprova di un clima completamente diverso da quello descritto all’epoca dalle pm Isabella Chiesi, Maria Rita Pantani, Valentina Salvi e Giulia Stignani, coloro che firmarono l’esposto al Csm. Un esposto che partiva dalla pubblicazione delle chat tra la toga e l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, per le quali il procedimento disciplinare si è chiuso con un’archiviazione, e dalle notizie di stampa, secondo le quali ci sarebbero state, da parte di Mescolini, presunte omissioni nello svolgimento delle indagini.

Nell’esposto, le quattro pm avevano dichiarato di non sentirsi più «nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria, giacché l’istituzione che contribuiamo a rappresentare ha perso credibilità e autorevolezza, apparendo all’esterno priva di indipendenza».

La sua nomina a procuratore di Pesaro dovrà essere ratificata dal plenum. L’archiviazione del procedimento da parte del Csm era arrivata a maggio, a seguito dell’annullamento da parte di Palazzo Spada del suo trasferimento. E in quella delibera, Palazzo Bachelet aveva evidenziato che nessun elemento dimostra o ha mai dimostrato l’incompatibilità tra l’allora procuratore Mescolini e l’ambiente in cui lavorava.

Di più: le accuse di vicinanza ad alcuni ambienti politici e di scarso equilibrio avevano provocato indignazione in Tribunale, tra gli avvocati, i membri della polizia giudiziaria e pure tra i magistrati inquirenti del distretto, ad eccezione delle quattro pm che hanno presentato l’esposto nei suoi confronti. Un esposto non confortato da alcuna “prova” - si legge nella delibera - e anzi smentito, nel corso della nuova istruttoria, da emergenze che pure erano individuabili all’epoca in cui la vicenda era stata analizzata: secondo il Consiglio di Stato, infatti, «l’istruttoria svolta dal Csm era “parziale e non del tutto completa”» e gli elementi raccolti non permettevano di sostenere che la direzione delle indagini condotte dal procuratore sarebbe «avvenuta in base a personali convincimenti politici», dal momento che non erano state raccolte le dichiarazioni di esponenti della polizia giudiziaria e delle forze dell’ordine.

Una lacuna definita «grave» dai giudici amministrativi ed evidente già all’epoca, dal momento che le dichiarazioni delle sostitute firmatarie dell’esposto non avrebbero circostanziato in maniera chiara i fatti. Al punto che, secondo Palazzo Spada, la ricostruzione fatta dalle pm «si presta, piuttosto, a essere interpretata come una manovra nettamente politica di esponenti che avevano pensato di individuare nell’appellante (Mescolini, ndr) un avversario, per così dire, “politico”». Le affermazioni delle pm, per il Consiglio di Stato, «non hanno trovato ulteriore corredo probatorio». Ciononostante, il Csm - pur essendo presenti, in atti, «elementi che deponevano in senso opposto» - aveva optato per il trasferimento. Tra questi elementi, anche le dichiarazioni del procuratore generale di Bologna Ignazio De Francisci, «il quale aveva riferito che dopo la pubblicazione delle chat (con Palamara, ndr) nessun appartenente alle forze di polizia gli “aveva parlato male” del magistrato».

Il Csm ha dunque archiviato il procedimento dopo aver riaperto l’istruttoria, ascoltando nuovi testimoni. Tra questi anche Cristina Beretti, attualmente presidente del Tribunale di Reggio Emilia e in servizio in quella sede dal 1992. Stando alle sue dichiarazioni, la divulgazione delle chat con Palamara non avrebbe provocato alcun appannamento della figura di Mescolini, sulla cui imparzialità nessuno, in Tribunale, avrebbe mai nutrito dubbi, così come tra gli avvocati.

Beretti ha evidenziato inoltre come «non era la prima volta che “Chiesi, Pantani, Salvi, Stignani e altri due che c’erano all’epoca” si erano fatte promotrici di un’azione come quella posta in essere nei confronti del dottor Mescolini, avendo nel 2017 chiesto l’apertura di una pratica per il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di un giudice». Ma nel caso di Mescolini «erano andate oltre, tanto che tra i colleghi del Tribunale molti erano rimasti perplessi e non si spiegavano il motivo di tale atteggiamento», motivo per cui l’esposto contro Mescolini «ci ha lasciato molto male».

Dopo il suo allontanamento da Reggio Emilia si registrò inoltre un fenomeno inquietante, ovvero la comparsa di alcune scritte sui cartelli stradali in prossimità dell’appartamento del magistrato in cui si ringraziava una delle pm firmatarie dell’esposto.