Nessun elemento dimostra o ha mai dimostrato l’incompatibilità tra l’allora procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini e l’ambiente in cui lavorava. Anzi, le accuse di vicinanza ad alcuni ambienti politici e di scarso equilibrio avevano provocato indignazione in Tribunale, tra gli avvocati, i membri della polizia giudiziaria e pure tra i magistrati inquirenti del distretto, ad eccezione delle quattro pm che hanno presentato l’esposto nei suoi confronti, il cui gesto, secondo il Consiglio di Stato, sarebbe da intendere più come una mossa «politica».

È per queste ragioni che il Csm - dopo aver riaperto l’istruttoria, ascoltando nuovi testimoni - ha archiviato il procedimento che nel 2021 aveva portato al trasferimento di Mescolini a Firenze, di fatto stravolgendo la geografia giudiziaria del distretto. Perché anche se ora Mescolini ha vinto la propria battaglia, la sua ex poltrona a Reggio Emilia è occupata da Gaetano Paci, mentre lui è stato “declassato” al ruolo di sostituto procuratore in un’altra regione. Regione dove in molti, dopo l’allontanamento, sono andati a trovarlo, a riprova di un clima completamente diverso da quello descritto all’epoca dalle pm Isabella Chiesi, Maria Rita Pantani, Valentina Salvi e Giulia Stignani.

La delibera approvata dal Csm ripercorre l’intera vicenda, a partire dall’esposto delle quattro sostitute, nato a seguito della pubblicazione delle chat tra Mescolini e l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, chat per le quali il procedimento disciplinare si è chiuso con un’archiviazione. Prendendo le mosse dalle notizie di stampa, secondo le quali ci sarebbero state, da parte di Mescolini, presunte omissioni nello svolgimento delle indagini, le pm si erano rivolte al Csm, dichiarando di non sentirsi più «nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria, giacché l’istituzione che contribuiamo a rappresentare ha perso credibilità e autorevolezza, apparendo all’esterno priva di indipendenza».

Stando alle nuove “indagini” effettuate dal Csm, però, tale percezione era esclusiva delle quattro firmatarie, che però avevano lamentato un «generale malessere», esteso anche agli amministrativi, alla pg e al foro. Secondo il Consiglio di Stato, «l’istruttoria svolta dal Csm era “parziale e non del tutto completa”». E gli elementi raccolti non permettevano di sostenere che la direzione delle indagini condotte dal procuratore sarebbe «avvenuta in base a personali convincimenti politici», dal momento che non erano state raccolte le dichiarazioni di esponenti della polizia giudiziaria e delle forze dell’ordine. Una lacuna istruttoria «grave», secondo i giudici amministrativi, ed evidente già all’epoca, dal momento che le dichiarazioni delle sostitute firmatarie dell’esposto non avrebbero circostanziato in maniera chiara i fatti. Al punto che, secondo Palazzo Spada, la ricostruzione fatta dalle pm «si presta, piuttosto, a essere interpretata come una manovra nettamente politica di esponenti che avevano pensato di individuare nell’appellante (Mescolini, ndr) un avversario, per così dire, “politico”».

Insomma, le dichiarazioni delle quattro pm non avrebbero fatto emergere «alcun elemento concreto di criticità», in quanto quelle affermazioni «non hanno trovato ulteriore corredo probatorio». Ciononostante, il Csm - pur essendo presenti, in atti, «elementi che deponevano in senso opposto» - aveva optato per il trasferimento. Tra questi elementi, anche le dichiarazioni del procuratore generale di Bologna Ignazio De Francisci, «il quale aveva riferito che dopo la pubblicazione delle chat nessun appartenente alle forze di polizia gli “aveva parlato male” del magistrato».
L’attuale Csm ha ascoltato, tra gli altri, Cristina Beretti, attualmente presidente del Tribunale di Reggio Emilia e in servizio in quella sede dal 1992. Stando alle sue dichiarazioni, la divulgazione delle chat con Palamara non avrebbe provocato alcun appannamento della figura di Mescolini, sulla cui imparzialità nessuno, in Tribunale, avrebbe mai nutrito dubbi, così come tra gli avvocati. Beretti ha evidenziato come «non era la prima volta che “Chiesi, Pantani, Salvi, Stignani e altri due che c’erano all’epoca” si erano fatte promotrici di un’azione come quella posta in essere nei confronti del dottor Mescolini, avendo nel 2017 chiesto l’apertura di una pratica per il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di un giudice».

Ma nel caso di Mescolini «erano andate oltre, tanto che tra i colleghi del Tribunale molti erano rimasti perplessi e non si spiegavano il motivo di tale atteggiamento», motivo per cui l’esposto contro Mescolini «ci ha lasciato molto male». Talmente male che più d’uno l’ha raggiunto a Firenze per manifestargli solidarietà, mentre un ufficiale di pg ha chiesto di lasciare Reggio Emilia. Una stima che era stata manifestata anche dalla società civile, con una lettera, sottoscritta da oltre 100 persone «delle più svariate provenienze», in sua difesa. Beretti ha infine riferito «di aver notato nell’ambiente una certa soddisfazione da parte di tutti per la sentenza del Consiglio di Stato che aveva da ultimo annullato il trasferimento d’ufficio del dottor Mescolini». Che ormai è stato danneggiato.