«L’individuazione dei comportamenti illeciti che richiedono il ricorso alla sanzione penale e la quantificazione (in astratto) di quest’ultima rappresentano un terreno nell’ambito del quale la discrezionalità legislativa si manifesta al massimo grado». Un fatto ribadito dalla Consulta nella sentenza 46 del 2024, nella quale, però, viene anche chiarito che «l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore “non equivale ad arbitrio”, giacché “qualsiasi legge dalla quale discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità legittime perseguite dal legislatore” e “i mezzi prescelti dal legislatore non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalità”».

Sono queste le premesse dalle quali parte la Sesta Commissione del Csm nel suo parere sul dl Sicurezza, che verrà discusso oggi in plenum. Un parere con il quale i consiglieri segnalano al governo una serie di criticità: la sproporzione sanzionatoria in alcune aggravanti (come la resistenza passiva punita come resistenza violenta); l’anticipazione della soglia di punibilità in materia di terrorismo; una certa ambiguità lessicale e interpretativa; il rischio di attrazione in sede penale di vicende civili e una possibile limitazione eccessiva delle libertà fondamentali, come quella di manifestazione.

Motivo per cui il Csm, pur riconoscendo la discrezionalità legislativa, esprime dubbi e perplessità su diverse previsioni del decreto, evidenziando il rischio di conflitti con i principi costituzionali sanciti dall’articolo 3 (principio di uguaglianza) e dall’articolo 27 (finalità rieducativa), possibili effetti disorganizzativi per il sistema giudiziario e la necessità di un approccio più equilibrato e razionale in materia penale, a favore della depenalizzazione e non del suo opposto.

La Sesta Commissione ha sottolineato come da più parti – tanto in ambito accademico quanto in ambito forense – «siano stati espressi argomentati dubbi sulla conformità di alcune delle scelte incriminatrici o di inasprimento sanzionatorio contenute nell’odierno decreto-legge (e, prima di esso, nel disegno di legge approvato dalla Camera) rispetto ai principi costituzionali in materia penale».

Un decreto che contiene un ricorso accentuato allo strumento penale, «declinato nelle due forme dell’inasprimento delle pene attualmente previste e dell’introduzione di nuove fattispecie di reato», ovvero la detenzione di materiali a fini terroristici, anche in fase molto preparatoria; il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui, con pene severe e il reato di rivolta carceraria, anche per resistenza passiva, con estensione simile ai centri per migranti. «L’impatto complessivo che le nuove disposizioni potranno avere sul carico di lavoro e sull’assetto organizzativo degli uffici non è del tutto prevedibile - si legge nel parere -. È però evidente che il sistema giudiziario non potrà non risentirne», dal momento che solo la depenalizzazione può alleggerire il peso degli uffici.

Viene segnalato un aumento delle sanzioni penali, spesso senza giustificazione concreta, come l’ampliamento delle aggravanti per reati vicino a luoghi sensibili, che rischiano di rendere vaghe le fattispecie penali. A titolo esemplificativo, critiche vengono espresse sul nuovo reato di “rivolta carceraria” che punisce la resistenza passiva senza distinguere tra ordini legittimi e illegittimi e ampliando l’ambito del penalmente rilevante in modo ambiguo. Inoltre, la disobbedienza passiva viene equiparata alla violenza, un'analogia ritenuta irragionevole. La modifica delle pene per donne incinte o madri di bambini piccoli, infine, introduce una facoltatività nel rinvio dell'esecuzione della pena, creando incertezze, soprattutto per la scarsità di strutture adeguate.