Il passaggio da un modello processuale a un altro implica inevitabilmente, al di là di altre variabili minori, una ridistribuzione del potere processuale. Per convincersi di questo fatto, basti pensare dove si collocava il pubblico ministero nel sistema inquisitorio: a fianco al giudice. Addirittura nel processo pretorile, la figura del giudice accorpava dentro in sé la figura del pubblico ministero.

In dibattimento si era costretti a fare una specie di fiction per cui c'era l’avvocato che faceva le sue conclusioni e poi tanto il pretore decideva. Oggi l'Aula di udienza rappresenta la nuova distribuzione del potere processuale, come previsto dalla disposizione di attuazione del Cpp (art. 143), almeno nella fase dibattimentale, nella quale sostanzialmente si forma la prova durante la cross examination. Quindi il passaggio da un sistema inquisitorio a un sistema accusatorio ha toccato i poteri: quelli del giudice, del pm e ha ampliato le garanzie difensive.

Si pensi che solo nel 1955, per effetto dell'entrata in azione della Corte costituzionale, le norme di garanzia costituzionale, tipo l'inviolabilità del diritto di difesa, hanno trovato un riconoscimento attraverso il passaggio da nullità relative a nullità assolute. Toccare il potere delle parti non è un fatto indolore ed è chiaro che chi si vede sottratto un potere che fino all'altro giorno aveva esercitato, si oppone, fa resistenza ai progetti di riforma. Si consideri altresì un altro dato: il processo penale si è dovuto misurare prima con il terrorismo interno e poi con la criminalità organizzata.

Naturalmente certe norme di garanzia sono state ritenute ostative rispetto alla possibilità di accertare quei fatti complessi: una cosa è un omicidio, altra cosa sono quei fenomeni. Poi l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ha cambiato radicalmente quelli che erano gli assetti di potere all'interno del processo: la difesa è diventata più forte. Il che non vuol dire che ciò sia andato a scapito necessariamente del pubblico ministero, ma certamente l'intervento di un giudice terzo ha riequilibrato i poteri all'interno del processo.

Quindi quando il codice dell'88 è nato, noi abbiamo registrato delle forti resistenze. Una sorda resistenza, in alcuni casi anche palese come quella del giudice Marcello Maddalena. Ci sono stati cultori della materia, professori, politici e quant'altro che hanno avuto una serie di difficoltà a varare norme che si ponevano in contrasto con una cultura che se non era inquisitoria pura, certamente era di tipo inquisitorio cosiddetto garantito. E su queste resistenze sorde poi è sopravvenuta la strage di Capaci, e questo ha determinato tranquillamente da parte della politica la necessità di ritenere che il codice non fosse adeguato a risolvere i problemi della criminalità. Pertanto il modello si è involuto, questa involuzione è sostanzialmente continuata: cioè quel modello accusatorio che avevamo concepito, che era stato concepito progressivamente, ha visto un'attrazione anteriore verso la fase dell'indagine, un rafforzamento dei poteri della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. E naturalmente tutto questo ha alterato quelle che erano le garanzie e quella che era la struttura processuale, il potere dentro il processo.

Poi per una volontà di riequilibrio si è approvato l'articolo 111 della Costituzione, il giusto processo. Ma le lancette dell'orologio non tornano mai indietro. E naturalmente cosa è successo? Si è fatta una riforma, ma essa non poteva non tener conto di ciò che nel frattempo si era determinato e quindi non si è ritornati al modello accusatorio caratterizzato dalla centralità del dibattimento. Si è cercato di trovare un nuovo equilibrio fra indagini del pubblico ministero e polizia giudiziaria; il controllo del giudice è stato molto blando. E la centralità del dibattimento in qualche modo si è persa. Il sistema ha cercato un suo riequilibrio che naturalmente ha portato a rafforzare le indagini preliminari, ha riformato la fase dell'impugnazione successiva, ma non ha toccato il cuore del dibattimento perché non si è ritenuto di rafforzare il concetto di oralità, pensando di privilegiare il concetto del contraddittorio.

Oggi si cerca in tutti i modi di ritornare un po’ nei vari progetti: quello del Lapec, la riforma che è allo studio della Commissione Mura del ministero della Giustizia, la riforma dell'Isola di San Giorgio delle Camere Penali. Tutte cercano di ripristinare la logica dell’oralità nel contraddittorio. Naturalmente lo fanno correggendo alcune norme che difettano di vere e proprie sanzioni. Si cerca di ridimensionare i poteri del giudice del dibattimento. Perché ancora non si riesce? Non si riesce perché chi ha un potere cerca di mantenerlo. Ci sono oggettivamente delle forti resistenze a ritornare su quel modello processuale perché lo si ritiene in qualche modo inadeguato rispetto ai fenomeni della criminalità terroristica internazionale e interna, domestica e, da ultimo, anche rispetto alle esigenze securitarie che stanno determinando l’approvazione del pacchetto sicurezza, la quale sta originando un'ulteriore anticipazione del momento dell'accertamento dei fatti nel rapporto fra pubblico ministero e polizia giudiziaria. Per cui la classe politica l'unica cosa che riesce in qualche modo a fare sono interventi frammentari che correggono alcune piccole patologie. Si consideri l'interrogatorio anticipato voluto da Nordio e il limite delle intercettazioni a 45 giorni. Si è intervenuti poi abrogando l’abuso d'ufficio. Sono interventi in qualche modo spot che però anche loro devono tener conto del contesto generale, si pensi al femminicidio. Ulteriore binario: la criminalità minorile con l’incremento delle fattispecie incriminatrici e l’ inasprimento delle pene. Tutto questo con ricadute sul sistema penitenziario.

L'ideologia del governo, della sua maggioranza non è in grado di suggerire ipotesi particolarmente garantiste che non siano quelle in qualche modo estemporanee e marginali dei singoli parlamentari che fanno parte delle forze di governo e i quali riescono, come dire, a erodere alcune patologie del sistema. In altri casi devono arrivare la Corte di Giustizia Europea e la Corte Costituzionale per ripristinare alcune garanzie. Pertanto, attualmente, una riforma complessiva del sistema processuale a favore di un sistema accusatorio puro non è possibile, non ci sono gli spazi, manca la convergenza di maggioranza e opposizione.

Indubbiamente la separazione delle carriere metterà in moto, se si realizzerà e dovrebbe realizzarsi, delle dinamiche: in attesa di conoscere bene quale sarà il ruolo del pubblico ministero, il giudice potrà considerarsi terzo nella dialettica fra difesa e accusa. Certamente la riforma del dibattimento e delle garanzie dibattimentali fisserebbero bene i compiti del giudice, rafforzerebbero la dialettica processuale.