«Confermo tutto. Anche nei miei punti su una possibile riforma del Csm c’è il sorteggio per la composizione delle commissioni». Il commento è di Stefano Cavanna, ex membro laico del Csm. E ciò che conferma è la lottizzazione delle Commissioni al Consiglio superiore della magistratura, dove l’ultimo turnover ha confermato la geografia delle correnti, penalizzando l’unico indipendente (insieme ad un altro agguerrito magistrato, Roberto Fontana) del Consiglio, Andrea Mirenda, “confinato” in una sola Commissione come semplice componente. La si potrebbe chiamare la solitudine dei senza corrente, parafrasando Paolo Giordano. Un po’ com’era successo anche a Nino Di Matteo nel corso della scorsa consiliatura, l’unico consigliere - e non a caso il più agguerrito tra i togati in Consiglio - al quale non è mai stata attribuita una presidenza di Commissione, nonostante la disponibilità manifestata dallo stesso a presiedere la Prima - quella per le incompatibilità - o la Quinta - quella dove si decidono le nomine. Commissione, quest’ultima, molto calda nel periodo in cui il pm palerminato si trovava a Palazzo Bachelet, dopo la devastazione portata dall’affaire Palamara ( che cambiò profondamente gli equilibri di quella consiliatura) e nella quale, alla fine, non fu neppure inserito come componente. La battaglia contro gli accordi spartitori, dunque, Di Matteo se la giocò tutta in plenum, dove assieme al consigliere Sebastiano Ardita ha sempre denunciato - talvolta scontrandosi con i colleghi - ipotesi di inciuci e logiche correntizie. E fu suo il “merito” di svelare il caso verbali, dopo l’invio di un plico anonimo con le dichiarazioni dell’avvocato esterno di Eni Piero Amara.

Era anche per evitare la lottizzazione delle Commissioni che l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva tentato di proporre il sorteggio - poi depennato - e introdotto il divieto di formare gruppi all’interno del Csm, regola che, all’epoca, fu fortemente criticata proprio dalle correnti e che era stata pensata per attenuare il legame tra le associazioni di magistrati e l’operato dei componenti togati del Consiglio, evitando ingerenze dirette nei lavori di Palazzo Bachelet. Ma la riforma Cartabia cancellò tutto, compresa una regola di buon senso che ora in molti invocano nuovamente.

«Il tema del sorteggio delle Commissioni è importantissimo - spiega al Dubbio Cavanna -, perché in questo modo si rompe il giochino

del mantenimento dell’equilibrio consiliare. Quando io discutevo di questo argomento coi colleghi del Csm mi veniva detto che in una certa Commissione non potevo starci perché, ad esempio, c’era il collega Alessio Lanzi, anche lui espressione del centrodestra, anche se io raramente votavo come Lanzi. Ma la regola era questa. Ed è rimasta questa». Insomma, un vero e proprio “meccanismo” che prescinde dal colore politico del Consiglio: la regola esiste ed esiste grazie a tutti. E si applica. «Mirenda è stato isolato con una sola Commissione e questo è uno dei modi possibili. Con me, invece, è andata nel modo opposto: mi caricavano di commissioni come una molla, tutte di servizio - spiega ancora -. Negli ultimi due anni ne ho avute cinque, tutte commissioni pesanti. Ero presidente dell’Ottava, che nessuno voleva. Io chiedevo ogni anno Prima e Quinta e non mi è mai stata assegnata, nemmeno come componente. Allora a quel punto ho usato la tattica opposta: chiedevo qualcosa per non averla».

Il sorteggio sulle Commissioni sarebbe dunque «devastante per le correnti», spiega l’ex consigliere. «L’equilibrio consiliare sarebbe scompaginato». Ma questa soluzione, da sola, non basterebbe a risolvere il problema. «Un’altra cosa che farei è rendere pubbliche le Commissioni. Perché devono essere segrete? - si chiede - Non si capisce. Anche se, devo ammettere, molto spesso si trovavano scuse per segretare le sedute. Le cose più sporche diventano segrete».

Ma tra le venti idee di Cavanna ce n’era anche un’altra: la modifica del Comitato di Presidenza, «che rappresenta un centro di gestione e persegue una politica. È un potere all’interno del Consiglio. Oggi la nobiltà giuridica della magistratura viene riconosciuta dal ministro Carlo Nordio con l’Alta Corte: non sarebbe un’eresia pensare ad un rappresentante dei laici in seno al Comitato».