Colpo di scena alla vigilia dell’elezione del nuovo primo presidente della Cassazione: i consiglieri indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana hanno annunciato la loro astensione dal voto. Una decisione che rende ancora più turbolento il quadro, considerando l’auspicio del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che in occasioni di nomine di tale rilievo ha sempre manifestato la preferenza per una candidatura condivisa e approvata all’unanimità. Una prospettiva già sfumata, poiché a contendersi la successione di Margherita Cassano, oggi, ci sono due magistrati: Pasquale D’Ascola e Stefano Mogini. Due profili «eccellenti», ci tiene a specificare Fontana, ma diversissimi tra loro e proprio questo dimostrerebbe come il meccanismo delle nomine e la disciplina prevista dal testo unico siano un modo per mantenere in vita il nominificio. «Io e Mirenda, sul tema di fondo del sorteggio, la pensiamo in modo diametralmente opposto - ha esordito Fontana -. Io sono tra coloro che ritengono che il sorteggio depotenzi autorevolezza e ruolo del Csm, Mirenda no. Ma abbiamo condiviso la battaglia sul testo unico».

Il nesso con le degenerazioni nel sistema delle nomine starebbe nella eccessiva ampiezza di discrezionalità del Consiglio in questo campo, «discrezionalità che non riteniamo essenziale». Al contrario, ciò che conta è fissare «in modo preciso delle regole, dei parametri e dei rapporti tra questi parametri, in modo che la scelta diventi l’applicazione della regola enunciata» e non una scelta dettata da altre regole, in questo caso legate all’appartenenza correntizia. Proprio per tale motivo, insieme a Mimma Miele di Md e ai consiglieri di Unicost, i due indipendenti avevano proposto un Testo unico che stringesse le maglie della discrezionalità, testo votato anche da tutti i laici - escluso Ernesto Carbone -, ma comunque uscito sconfitto in plenum.

«L’ampiezza e l’evanescenza delle regole ha consentito la degenerazione del sistema delle nomine», ha aggiunto Fontana, precisando che il testo unico ha contribuito alla polarizzazione tra i due candidati, entrambi eccellenti, ma scelti sulla base di criteri ampi e non oggettivi. È l’articolo 23 del Testo unico, che disciplina queste nomine, a contenere — denunciano i due consiglieri — una serie di criteri solo apparentemente gerarchici, ma che, come recita la clausola finale, devono essere comunque valutati «unitariamente». Una formula che consente di giustificare tutto e il contrario di tutto, trasformando la regola in una foglia di fico per ogni scelta.

Il loro orientamento, dunque, è di astenersi finché il testo unico non verrà modificato introducendo criteri più stringenti. «È una battaglia che non finisce certo domani. Non vuol dire che non parteciperemo a tutte le votazioni, ma a quelle inficiate da quegli articoli dove il tasso di criticità è più forte», ha concluso Fontana.

«Sono il primo sorteggiato e spero non l’ultimo - ha poi affermato Mirenda -. Al consigliere Fontana mi accomuna la battaglia per le regole che rendono leggibili e trasparenti le deliberazioni consiliari. E c’è solo un modo, quello di un ancoraggio forte a testi normativi». La norma attuale - «il Testo unico delle mani libere» - è «priva di limite». E lo è in quanto «ideologicamente pensata in questo modo da Area e MI, che hanno voluto reagire alla nostra proposta per avere le mani libere». Basta leggere l’articolo 23, appunto, per comprendere «come entrambi gli odierni candidati - benché assai diversi per storia professionale e curriculum - siano comunque paritariamente riconducibili al labirinto normativo menzionato. Insomma, un Tu che consente di dire tutto e il suo contrario, scientemente pensato per consentire ai gruppi consiliari di “portare comunque i propri”, a prescindere da ogni oggettività e merito». «Io non ci sto e semplicemente non voto - ha sottolineato Mirenda -. Avete deciso di fare un atto di forza e non accogliere l’auspicio del Quirinale per valutare il vostro potere negoziale in plenum, allora è una vostra battaglia e ve la vedete tra voi».

Quella di Fontana e Mirenda è una «battaglia per la trasparenza» e per «far cessare il nominificio attraverso regole stringenti». Una «battaglia d’amore per la magistratura, nella speranza di ridare dignità al Consiglio e dire alla società civile che si può fare diversamente», ha aggiunto Mirenda, secondo cui l’ultimo problema dell’autogoverno - a fronte di questioni deontologiche, disciplinari e di efficienza degli uffici - è quello del nominificio. «Il Consiglio, se avesse il coraggio di intraprendere una seria strada riformista, potrebbe continuare a vivere senza bisogno del sorteggio e con un sistema di rappresentanza elettiva. Se tutto questo non accadrà, potrò dire alla mia coscienza che ho fatto tutto il possibile per riportare al Consiglio dignità e autorevolezza». Un assist a chi sostiene la necessità di separare le carriere? Non per Fontana, secondo cui la battaglia sul Testo unico nasce proprio «per dare una risposta a un problema» nato con il Palamaragate e mai risolto. «Non siamo riusciti a liberarci di certe logiche. E il nostro è un tentativo di dimostrare che l’autogoverno, almeno questa è la mia posizione, ha le risorse e la capacità di correggere e rispondere a determinati fenomeni, senza la necessità di una riforma costituzionale. Non si butta via il bambino con l’acqua sporca».

Quel che è certo, per entrambi, è che non si può continuare a riproporre le stesse dinamiche correntizie, che non sono più figlie di divisioni ideologiche, ma di «logiche prosaiche», legate ai meccanismi di costruzione del consenso. E proprio per la loro pochezza, queste logiche finiscono per indebolire ulteriormente il Consiglio superiore della magistratura. Diversa, sul punto, la posizione di Mirenda. «Qualcuno dirà che queste critiche indeboliscono il Consiglio e legittimano il disegno di legge costituzionale - ha concluso -. Io dico subito una cosa: il sorteggio non è la causa, ma è la conseguenza. E allora: chi non ha la forza di riformarsi, viene fatalmente riformato. E per le nomine abbiamo sacrificato l’autorevolezza della magistratura. Abbiamo distrutto la credibilità del Csm».