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La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, con una sentenza destinata a fare scuola, ha respinto il ricorso del ministero dell’Economia e delle Finanze contro la decisione della Corte d’appello di Roma che aveva riconosciuto a un uomo il diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, in relazione alla misura di sicurezza della casa di lavoro applicata dal 24 ottobre 2016 al 20 giugno 2021. L’imputato prosciolto per vizio totale di mente rispetto alle accuse di molestia o disturbo alle persone, era stato sottoposto prima a libertà vigilata, poi - a seguito di presunta irreperibilità e successiva denuncia per ricettazione - alla misura detentiva della casa di lavoro, revocata successivamente nel maggio 2023.
Secondo la Corte d’appello di Roma, la misura non poteva essere disposta in quanto «la misura di sicurezza non poteva essere applicata per un illecito contravvenzionale». Ha inoltre ritenuto che l’uomo non avesse concorso con la propria condotta alla restrizione della libertà, disponendo così un indennizzo pari a 235,82 euro al giorno per 1700 giorni, per un totale di 400.894 euro. Tuttavia, l’Avvocatura dello Stato aveva sollevato tre motivi di ricorso. Una violazione dell’articolo 314 del codice di procedura penale per una presunta condotta concausativa dell’imputato nella determinazione della misura.
Inoltre, aveva evidenziato un errore nell’interpretazione della normativa sulle misure di sicurezza, ritenendo che nel 2016 vi fosse un contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità della libertà vigilata anche per le contravvenzioni. Ed ancora, ipotizzava un errore nella quantificazione dell’indennizzo, contestando l’equiparazione della casa di lavoro a una misura detentiva tout court.
Prendendo in esame il ricorso, la quarta sezione penale della Cassazione ha ritenuto infondato ogni punto del ricorso. Nel primo caso, ha rilevato che l’aggravamento non poteva comunque essere disposto perché, a monte, non poteva essere adottata misura di sicurezza personale per una contravvenzione, essendo tale possibilità prevista soltanto per delitti non colposi puniti con pena superiore ad una certa soglia. Quanto al secondo motivo, la Cassazione ha richiamato una sentenza del 2019, stabilendo che in caso di proscioglimento da una contravvenzione per infermità psichica è da considerare illegittima l’applicazione della misura di sicurezza personale del ricovero «dovendosi escludere che le modifiche legislative abbiano determinato il superamento della distinzione tra delitti e contravvenzioni».
Rispetto alla terza censura formulata dall’Avvocatura dello Stato, gli ermellini hanno precisato che la permanenza dell’uomo presso la casa di lavoro è avvenuta in condizioni di fatto detentive, e che il reclamo non si è confrontato con questo aspetto. Ed qui che la Corte di Cassazione ha inteso ribadire che anche la misura di sicurezza detentiva, se illegittimamente applicata, dà diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. «La restrizione della libertà personale dovuta all’adozione della misura di sicurezza del ricovero presso una casa di cura, là dove imposta al di fuori dei presupposti legislativamente previsti, deve ritenersi tale da legittimare la richiesta della riparazione per l’ingiusta detenzione», si legge nella parte in cui viene citata una sentenza della quarta sezione penale del 2013.
Sempre la Cassazione ha infine richiamato la pronuncia della Corte costituzionale n. 219/ 2008, che ha chiarito come la riparazione per l’ingiusta detenzione va riconosciuta in tutte le ipotesi che «recano una oggettiva lesione della libertà personale».