A via Arenula comanda il ministro Carlo Nordio o la sua corte di magistrati assegnati ai vari uffici? La domanda è lecita se si mettono insieme un po’ di elementi.

Primo: fonti del ministero ci riferiscono che mentre il guardasigilli nei primi mesi successivi alla nomina interveniva in sedi anche istituzionali a prefigurare e illustrare le proprie imminenti riforme liberali della giustizia, all’ufficio legislativo del dicastero nessuno si stava preoccupando di prendere appunti e di trasformarle in atti normativi. Tanto è vero che il pacchetto di riforme garantiste – abuso d’ufficio, traffico di influenze, misure cautelari, limiti all’appello del pm, informazione di garanzia – che arriverà forse a metà giugno in Consiglio dei ministri, sconterà in parte, come filtra sempre dal ministero, il ritardo con cui è stato elaborato.

Secondo: si ricorderà che, a presiedere per esempio la commissione per elaborare proposte di interventi per la riforma dell’ordinamento giudiziario, l’ex guardasigilli Marta Cartabia aveva nominato un professore e avvocato come Massimo Luciani. Ma la “eterodossia” dei consulenti “arruolati” a via Arenula si è oggettivamente rarefatta con l’insediamento di Nordio. E le conseguenze sulla speditezza del percorso riformatore sembrano evidenti. Tanto che, allo stato attuale, il solo effettivo caso di attuazione della legge Cartabia sull’ordinamento giudiziario rischia di essere, paradossalmente, l’adeguamento degli emolumenti per i consiglieri Csm, sempre che i togati di Palazzo dei Marescialli, di qui a qualche giorno, non seppelliscano la proposta del vicepresidente Fabio Pinelli, coerente appunto con il ddl delega approvato nella scorsa legislatura.

In realtà ci poteva essere un altro caso di attuazione della riforma Cartabia, ma con uno spirito piuttosto infedele al mandato: in Parlamento, con la presentazione di un emendamento, poi ritirato forse a seguito delle polemiche venute fuori sulla stampa, al decreto Pa, che avrebbe portato al ministero altri dieci magistrati fuori ruolo, e previsto sì una futura riduzione del loro numero complessivo (dagli attuali 200, di cui 65 a via Arenula, a 180), ma solo a partire dal 2027.

Terzo: come riferito ieri dal Foglio, la vice capo di Gabinetto della Giustizia, la magistrata fuori ruolo Giusi Bartolozzi, sarebbe la principale fautrice dell’emendamento che ha rinviato a fine dicembre il termine per emanare i decreti attuativi della riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. La magistrata, si sostiene, avrebbe una forte influenza su Nordio, tanto da assumere un ruolo più politico che tecnico. E, secondo l’articolo firmato sul Foglio da Ermes Antonucci, l’obiettivo ultimo sarebbe quello di far decadere addirittura la riforma.

Il che significherebbe fare un grosso favore all’Anm, visto che in un sol colpo salterebbero il fascicolo di valutazione dei magistrati così come il voto degli avvocati, nei Consigli giudiziari, sulle carriere dei giudici; e ancora, addio ai limiti alle porte girevoli tra politica e magistratura e alla riduzione dei magistrati fuori-ruolo. Tutte quelle questioni che portarono il sindacato delle toghe a scioperare lo scorso anno contro la riforma Cartabia.

Su quel riassetto del Csm e dell’ordinamento giudiziario, entro giugno sarebbero dovuti essere approvati i decreti attuativi, ma tutto è slittato, come detto, di sei mesi, con la motivazione ufficiale che c’erano altre priorità da gestire al ministero. Su questo, sono arrivate conferme anche da una delle poche figure che a via Arenula certamente “militano” perché la legge delega si concretizzi, ossia il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto: è stato lui a segnalare come gli adempimenti del dicastero sul Pnrr fossero abbastanza gravosi da richiedere un po’ di ossigeno per la definizione di altri interventi. Eppure resta il forte sospetto, avvalorato da più di un’indiscrezione, che la dilatazione dei tempi sull’attuazione del testo Cartabia sia vissuta dai magistrati “reclutati” da Nordio come un’opportunità per poter arrivare, a fine anno, a un sostanziale “tradimento” della delega.

Interpellata dal Dubbio, Bartolozzi ha preferito non commentare: «Sono al lavoro come sempre», ha sottolineato. Mentre un’altra fonte di via Arenula smentisce l’indiscrezione del sabotaggio della riforma e dichiara addirittura che Nordio «ha istituito una commissione di approfondimento composta da diverse professionalità che sta già lavorando con grandissimo impegno e con riunioni molto frequenti per elaborare un testo che sarà quello su cui verranno svolte ulteriori riflessioni e che costituirà la premessa per l’attuazione della legge delega». Da chi è composta tale commissione? E quanti riunioni ha fatto fino ad ora? Sarebbe utile se il ministero smentisse le voci più “pessimistiche”.

Tanto più che considerazioni opposte ci giungono da un’altra persona ben informata sui lavori al ministero della Giustizia: «Credo che quanto riportato dal Foglio non sia una speculazione. C’è il rischio che possa saltare tutto. A via Arenula sembra vi siano davvero dei frenatori. Se la loro manovra di sabotare la scrittura dei decreti attuativi riuscisse nello scopo, sarebbe davvero folle». Il problema è sempre lo stesso, come pure denuncia da anni Gian Domenico Caiazza, leader dei penalisti italiani: se al ministero sono distaccati solo magistrati è facile che si innestino ragionamenti corporativi molto forti. Sarebbe forse il caso di cominciare a prendere in considerazione la proposta dell’ex presidente Anm Eugenio Albamonte: non cacciare i magistrati dal ministero ma aprire le porte agli avvocati.

Quarto punto: sulla riforma della separazione delle carriere, filtra sempre dal ministero, «deve esserci la volontà politica. Non c’è alcuna difficoltà tecnica perché per scriverla ci vuole davvero poco, avendo già il testo base dell’Unione Camere penali. Ma la volontà politica in questo momento suggerisce che ci dobbiamo occupare di altro; allora fin quando non si raggiunge l’obiettivo del presidenzialismo sarà difficile vedere questa riforma sul tavolo».