Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha tenuto nel pomeriggio alla Camera dei deputati la Relazione annuale dell’attività dell’Anac (Autorità anticorruzione). «Nonostante gli sforzi compiuti, l’Italia registra ancora dati poco incoraggianti», ha detto Busia che ha proseguito: «La classifica degli Stati membri sullo Stato di diritto, contenuta nell’ultimo Rapporto dell’European Court of Auditors, la Corte dei conti europea, vede il nostro Paese in una posizione ancora troppo arretrata. Dal rapporto 2023 sulle attività della procura europea (Eppo), l’Italia risulta il Paese con il valore più alto in termini di danni finanziari al bilancio dell’Ue stimati a seguito di frodi e malversazioni, anche riconducibili alla criminalità organizzata». Complessivamente, alla fine del 2023 la procura europea contava un totale di 1.927 indagini attive, con un danno complessivo stimato per il bilancio dell’Ue di 19,2 miliardi di euro, di cui il 59% legato a gravi frodi transfrontaliere in materia di Iva. In tutta la relazione non si trova un indice della corruzione in Italia.

Il riferimento, come abbiamo visto, è solo in particolare alla procura europea, l’unica che, seppur nell’ambito specifico delle frodi legate all’iva, può fornire dati numerosi. Nessun accenno, invece, quest’anno alla classifica di Transparency (citata solo tre volte in relazione ad eventi organizzati insieme all’Anac) che misura la corruzione solo sulla base della percezione dei cittadini, quindi in assenza di un dato oggettivo, con effetti gravi sulla capacità di attrarre investimenti. La scelta del presidente Busia di espungere dalla relazione quella classifica potrebbe essere la conseguenza indiretta del fatto che a dicembre l’Onu aveva approvato, durante la sua decima Conferenza anticorruzione, una risoluzione del ministro della Giustizia Carlo Nordio per cui occorreva uscire dalla logica fuorviante di Transparency e abbracciare invece indicatori “giurimetrici”, a cominciare dalla valorizzazione, in positivo, dell’intensità nell’azione penale.

Se è vero che l’Anac è un organismo indipendente, a livello metodologico non poteva forse non prendere atto di quanto portato a casa dall’Italia proprio qualche mese fa. Forse siamo in presenza di un cambio di passo, seppur apparentemente impercettibile, da parte dell’Autorità anticorruzione. Anche «quando non uccide - ha continuato Busia nell’illustrare la sua relazione a Montecitorio -, la corruzione arreca danni inestimabili, affinando le sue armi con mezzi sempre più subdoli. Opere non ultimate o completate con smodati ritardi e sperpero di risorse pubbliche. Imprese sane che falliscono a causa di un mercato poco aperto e trasparente. Giovani eccellenze costrette a cercare all’estero chance di realizzazione professionale, sottratte in patria da concorsi poco trasparenti». Busia ha dunque auspicato l’appoggio del governo per l’approvazione della direttiva Ue anticorruzione, «in modo da poter disporre quanto prima di uno strumento normativo tanto essenziale per assicurare in Europa una crescita ispirata ai suoi valori fondativi».

Ricordiamo che a luglio in commissione Politiche Ue della Camera fu approvato un parere del centrodestra e del Terzo Polo contro la direttiva anticorruzione che considera il reato di abuso di ufficio elemento centrale tra le misure anticorruzione. Mentre l’Anac, sentita due volte nell’ambito delle audizioni sul ddl Nordio, aveva formulato «considerazioni volte essenzialmente al mantenimento nel sistema del reato in questione – seppur con un’attenta riformulazione del precetto normativo – sia in considerazione degli indirizzi forniti in ambito internazionale che per ragioni di stabilità dell’ordinamento interno».

Ora il progetto di direttiva presentato dalla Commissione nel maggio 2023 è all’esame del Consiglio, ha ricordato Busia. Tuttavia non è scontato, anzi, che l’Italia dia pienamente il suo appoggio per due fattori. Primo: a margine del G7 Giustizia tenutosi la scorsa settimana a Venezia, il ministro Nordio, durante un bilaterale con il ministro tedesco federale della giustizia Marco Buschmann, ha proprio avuto uno scambio di vedute sulla proposta di direttiva Ue sulla anticorruzione, «trovandosi - abbiamo letto in una nota di via Arenula - sulla stessa linea di pensiero riguardo ai temi dell’abuso d’ufficio e del traffico d’influenze e hanno concordato sull’esigenza di continuare a lavorare insieme sul testo di direttiva proposto dalla Commissione, anche tenuto conto del fatto della sua presentazione senza una valutazione d’impatto».

Secondo: sempre il guardasigilli, nella sua relazione al Parlamento di inizio anno, difendendo la sua norma sull’abrogazione dell’abuso di ufficio aveva detto: esso «è stato modificato quattro, cinque, sei volte, senza mai raggiungere risultati». Per alcuni «l’abrogazione contrasterebbe con la risoluzione di Merida, in generale, e con i vincoli imposti dall’Europa, in particolare. Anche questa è una balla colossale. Partiamo dal testo di Merida: il testo di Merida non impone affatto l’introduzione del reato di abuso di ufficio» perché si legge che «ogni Stato “considererà l’opportunità di adottarlo”», quindi nessun obbligo. Per quanto concerne la risoluzione dell’Unione europea, essa «consiste in una semplice proposta di direttiva, di cui non conosciamo né il quando, né il se, né il cosa, né il come: è semplicemente una scopiazzatura malfatta di quella che è la mala interpretazione dell’obbligo vincolante di Merida».

L’unico altro dato che Busia ha voluto attenzionare, senza però farne derivare che l’Italia sia un Paese corrotto, è il seguente: «Nel 2023, gli affidamenti diretti hanno rappresentato, per numero, oltre il 90% del totale (78% se si escludono dall’insieme i contratti sotto i 40.000 euro, registrandosi naturalmente la massima concentrazione nei rapporti di piccole dimensioni ed essendo naturalmente diverse le percentuali per valore). La percentuale sale oltre il 95% se si considerano anche le procedure negoziate.

Il nuovo Codice, oltre a non prevedere l’obbligo di avvisi o bandi per i lavori fino a 5 milioni di euro, consente di acquistare beni o affidare servizi fino a 140.000 euro senza neanche il vincolo di richiedere più preventivi. In sede di discussione della normativa, avevamo evidenziato il conseguente rischio di affidamenti agli operatori più vicini e collegati, invece che a quelli più meritevoli, con un prevedibile aumento dei costi».