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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30107 depositata il 2 settembre 2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un soggetto contro l’ordinanza della Corte d’appello di Brescia che aveva rigettato la sua opposizione alla confisca per equivalente disposta nei suoi confronti per reati tributari. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha fissato un principio destinato a incidere sulle future applicazioni dell’istituto, stabilendo che la verifica sulla necessità e sulla misura della confisca per equivalente deve essere effettuata con riferimento al valore dei beni già confiscati in via diretta al momento in cui la confisca diventa definitiva, e non al tempo del sequestro o al prezzo successivamente ricavato dalla liquidazione.
La vicenda trae origine dalle condanne pronunciate a carico del ricorrente per associazione per delinquere e una serie di reati fiscali. Con la sentenza della Corte d’appello di Brescia del 2017, divenuta irrevocabile nel 2018, era stato stabilito che al condannato fosse applicata la confisca per equivalente per un ammontare complessivo di 1.220.456,70 euro, accanto alle confische dirette sui beni delle società che avevano beneficiato delle condotte illecite. In sede di esecuzione, l’imputato aveva cercato di ottenere la revoca o la riduzione della misura sostenendo che i beni delle società sottoposti a sequestro nel 2013 coprivano interamente il profitto illecito e che, pertanto, non vi fosse spazio per la confisca per equivalente.
Inoltre, aveva chiesto che la misura fosse ripartita tra i diversi concorrenti, che potesse essere sostituita con il versamento di una somma di denaro e che venisse tenuta in conto una perizia di parte che ridimensionava il valore degli immobili coinvolti. Tutte le doglianze sono state respinte.
La Cassazione ha chiarito che la questione della ripartizione del profitto tra i concorrenti era già stata affrontata e chiusa con la sentenza del 2018, diventata definitiva, e che non poteva essere riaperta in sede esecutiva. Ma soprattutto ha ribadito che la valutazione circa l’eventuale eccedenza dei beni confiscati in via diretta e la conseguente necessità di ricorrere alla confisca per equivalente non può essere fatta né sulla base delle stime effettuate in fase cautelare, né considerando il prezzo effettivamente realizzato dalla vendita dei beni.
Secondo la Suprema Corte, ciò che rileva è il momento in cui la confisca diventa inoppugnabile, perché è lì che si produce l’effetto ablatorio e che occorre verificare se i beni già acquisiti allo Stato coprano l’intero profitto dei reati. Solo laddove essi risultino insufficienti, si potrà disporre anche la confisca per equivalente nei confronti dell’autore del reato.
Concetto che gli ermellini spiegano in questo modo: «Tale valutazione, quanto alla confisca, va, però, compiuta con riferimento al momento in cui il provvedimento di confisca divenga inoppugnabile, perché è in tal momento che si verifica l’effetto ablatorio e che quindi deve essere verificato se i beni confiscati in via diretta corrispondano o meno al profitto del reato, giacché solo in caso negativo, ossia qualora non sia possibile procedere alla confisca diretta di tutto il profitto del reato, sarà possibile disporre la confisca per equivalente nei confronti dell’autore del reato del profitto non confiscato, in tutto o in parte, in via diretta. Può, quindi, sul punto relativo al momento in cui compiere la valutazione circa la necessità della confisca per equivalente e nel quale verificare il valore dei beni oggetto di confisca diretta, formularsi il seguente principio di diritto: “Nel caso di adozione del sequestro finalizzato alla confisca in via diretta e contestualmente alla confisca per equivalente, la valutazione della sopravvenuta non necessità di tale seconda confisca in relazione alla sufficienza dell’importo dei beni oggetto della prima a “coprire” integralmente il profitto del reato va effettuata con riferimento ai valori di detti beni non al momento di adozione del sequestro ma al momento della definitività della confisca, essendo detto momento quello che determina l’effetto ablatorio”».
Stabilendo che il “fotogramma” da prendere in considerazione è quello della definitività della confisca, la Corte ha inteso evitare che si generino incertezze dovute al mutare dei valori nel tempo. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle Ammende.


