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GIULIA BONGIORNO
«Ci sono quelli che violentano donne e minori. Entrano in carcere, poi escono e riviolentano donne e minori. Ci dicono: “non riesco a frenare i miei impulsi”. Io non ho dubbi: se uno stupratore non riesce a tenere i propri impulsi vuol dire che ha bisogno di un aiuto e questo aiuto si chiama in un modo: castrazione chimica». Lo ha affermato la senatrice della Lega Giulia Bongiorno, dal palco di Pontida. «Non è una operazione chirurgica, non è una tortura - ha precisato – è applicata in molti Paesi europei, è un trattamento farmacologico che agisce sulla libido e con il vostro aiuto questa sarà la nostra prossima battaglia». Applausi dal pratone dei militanti del Carroccio. Ma sarà davvero una battaglia condivisa dalla maggioranza che sorregge il Governo? Sicuramente troverà l’appoggio di Fratelli d’Italia.
Già nel 2019 Tommaso Foti scrisse su Facebook: «Fratelli d'Italia per la castrazione chimica di chi compie violenza sessuale. Basta buonismo». Gli si accodò l’attuale Ministra del Turismo Santanché in un video su Facebook di polemica con i colleghi capitanati da Matteo Salvini: «Se la Lega non avesse bocciato i nostri emendamenti al decreto sicurezza sulla castrazione chimica, avremmo da tempo nel nostro ordinamento questa pena. Oggi sarebbe legge dello stato e si potrebbe applicare a questi porci». Forza Italia non dovrebbe essere della partita invece. Alcuni ci hanno risposto «no comment» che lascia presagire una contrarietà, mentre è stato molto chiaro l’onorevole Pietro Pittalis, vice presidente della Commissione Giustizia: «Io sono contrario ad ogni forma di sanzione corporale, ci riporta al medioevo, all'oscurantismo della civiltà giuridica».
E il Ministro Nordio che ne pensa? Giulia Bongiorno sa che nel 2019 dalle colonne del Messaggero il Guardasigilli scrisse in merito ad una proposta di legge di cui si stava discutendo quanto segue? «La castrazione, pare, sarebbe opzionale per il condannato: se l’accetta, evita il carcere, altrimenti deve espiare la pena. Questa alternativa sovvertirebbe completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione, dove la pena ha una funzione preventiva, retributiva e rieducativa. Si può concedere che la castrazione prevenga nuovi crimini; ma se le attribuiamo anche una funzione retributiva ciò significa che torniamo alla vecchia pena corporale».
Ma cosa dice la medicina? Per Gabriella Mirabile, specialista in Urologia e Andrologia, «la castrazione chimica nasce per scopi curativi, in particolar modo per trattare il tumore prostatico metastatico ormono-sensibile. L'obiettivo di questa terapia è quello di azzerare i livelli del testosterone sierico, attraverso una terapia orale e/o iniettiva». Non bisogna poi sottovalutare il fatto che – prosegue la dottoressa Mirabile - «si tratta di terapie molto costose che hanno effetti collaterali, soprattutto sul sistema cardiovascolare, e non si escludono conseguenze anche sul sistema metabolico dell’individuo».
Sulla possibilità che la castrazione chimica possa avere qualche utilità per frenare gli episodi di violenza, l’esperta ci risponde: «non esistono al momento evidenze scientifiche secondo le quali questa metodica possa far abbassare gli episodi di violenza. Diminuendo i livelli di testosterone sicuramente si riduce la libido e si annulla l’erezione, tuttavia con questa terapia i disturbi violenti comportamentali non possono essere corretti né inibiti. Invece della castrazione chimica questi soggetti avrebbero bisogno di un supporto di altro tipo, psichiatrico o psicologico». Mirabile aggiunge che «il soggetto sottoposto a castrazione chimica potrebbe paradossalmente assumere testosterone per via esogena; che la libido potrebbe comunque essere stimolata a livello neurosensoriale o immaginato, anche in assenza di testosterone; che alcuni pazienti in castrazione chimica hanno regolare vita sessuale, soprattutto i giovani, con o senza uso di farmaci proerettivi (perché l'erezione potrebbe essere indotta farmacologicamente, a dispetto della castrazione)» e che inoltre «la Comunità Europea e la Chiesa Cattolica la considera tortura se praticata non a fini medici».
Poi c’è da sollevare un altro elemento che riguarda il consenso informato alla somministrazione di una terapia e il suo controllo: «se al soggetto deve essere somministrato il farmaco intramuscolo ogni tot di mesi, allora ci può essere un controllo da parte dell’autorità sulla sua assunzione mentre per la terapia orale chi ci garantirebbe la somministrazione quotidiana?».
E dal punto di vista giuridico? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Marilisa D’Amico, ordinario di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale presso il Dipartimento di Diritto Pubblico Italiano e Sovranazionale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano: «Ciclicamente, in ragione della sempre attuale emergenza rappresentata dalle violenze contro la donna, il dibattito pubblico è chiamato a confrontarsi con il tema dell’effettività delle misure sanzionatorie previste nei confronti degli uomini maltrattanti e responsabili di abusi. In questo contesto, sembra trovare crescenti consensi l’idea di introdurre strumenti eccezionali – come la castrazione chimica – per neutralizzare la pericolosità di tutti questi soggetti e per proteggere le potenziali vittime».
Si tratta di una pratica, «accettata e regolamentata con modalità differenti in alcuni Stati dell’Europa e del resto del mondo, che si pone in contrasto con alcuni principi sanciti nella nostra Costituzione: in primis, con il principio del finalismo rieducativo della pena che l’art. 27, comma 3, sancisce in termine solenni e sul quale, peraltro, la nostra Corte costituzionale sta basando molte delle sue più recenti decisioni in materia penale; la castrazione chimica, a ben vedere, presenta una sola finalità di tipo retributivo e, considerata l’invasività che essa necessariamente sottende, sembra ricordare quelle “pene corporali” diffuse in epoca medievale che il nostro sistema valoriale ha invece disconosciuto, anche grazie al contributo dei pensatori illuministi». Queste stesse considerazioni gettano, sulla castrazione chimica, «un’ombra di contrarietà alla Costituzione anche rispetto all’art. 32, parametro che tutela la salute come “fondamentale diritto” di ogni persona. Da parte di chi ne sostiene l’introduzione, si sottolinea il fatto che il ricorso ad essa sarebbe in ogni caso subordinato al consenso del condannato. Ciò, però, non costituisce un argomento decisivo perché se è vero che, nel sistema disegnato dalla Costituzione, ogni invasione nella sfera personale è condizionata dal consenso dell’interessato, è vero, allo stesso tempo, che anche i trattamenti imposti dalla legge per la protezione della salute pubblica non possono “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
In gioco, insomma, quando si discute della castrazione chimica, sembra esserci una grande questione di fondo che chiama in causa la dignità di ciascuna persona, che deve essere riconosciuta e rispettata anche quando responsabile di gravi reati».