Un indirizzo pec digitato in modo diverso da quello prescritto può far cadere nel vuoto un’impugnazione, anche se arrivata al giudice competente entro i termini di legge? È la domanda (solo in apparenza tecnica) che la Corte di Cassazione ha rimesso alla Consulta con l’ordinanza n. 30071 depositata nelle scorse settimane. Il nodo nasce dall’applicazione dell’articolo 87- bis del decreto legislativo n. 150 del 2022, che disciplina la fase transitoria del processo penale telematico. La norma stabilisce che l’atto di impugnazione inviato a un indirizzo pec diverso da quello assegnato all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato è inammissibile, senza possibilità di correzione, anche quando giunge comunque in tempo utile al giudice competente.

Una rigidità che, secondo la Suprema Corte, non può non sollevare dubbi di costituzionalità. La questione riguarda il bilanciamento tra due principi fondamentali: da un lato la ragionevole durata del processo, che la norma intende tutelare alleggerendo le cancellerie dal compito di reindirizzare atti inviati per errore; dall’altro i diritti di difesa (articolo 24 Costituzione) e di uguaglianza (articolo 3), che rischiano di essere sacrificati in nome di un formalismo esasperato. La Cassazione riconosce l’obiettivo del legislatore è chiaro, ovvero evitare rallentamenti nella gestione delle impugnazioni, in un contesto ancora in fase di transizione verso il pieno processo penale telematico.

Ma il prezzo di questa semplificazione potrebbe rivelarsi eccessivo. Se un cittadino, tramite il proprio difensore, vede respinto un ricorso solo per un vizio di indirizzamento, pur avendo rispettato i termini e raggiunto il giudice, si realizza una compressione sproporzionata del diritto di accesso alla giustizia.

Il ragionamento è rafforzato dal richiamo alla giurisprudenza europea. La Corte Edu ammette che gli Stati possano introdurre requisiti formali stringenti, ma solo a condizione che non pregiudichino in concreto il diritto a un equo processo garantito dall’articolo 6 della Convenzione. Quando le regole diventano un ostacolo insormontabile, e non più uno strumento ordinatore, si viola la sostanza stessa del diritto.

L’ordinanza della Cassazione sottolinea anche come l’assenza di strumenti di emenda o di sanatoria accentui la sproporzione: il difensore non ha alcuna possibilità di rimediare a un errore puramente tecnico, che nulla toglie alla tempestività e alla validità sostanziale dell’impugnazione. Ora toccherà alla Corte costituzionale stabilire se la disciplina contenuta nell’articolo 87- bis sia compatibile con i principi supremi dell’ordinamento.

La questione, però, non è affare solo per giuristi. In gioco c’è la garanzia che il processo non diventi una corsa a ostacoli burocratici, ma resti uno strumento al servizio dei cittadini. Perché, come ricorda la stessa Cassazione, l’efficienza della giustizia non può mai essere ottenuta a scapito della sua equità.